La battuta che circola in alcune capitali europee è perfida: che senso ha mettere un tetto al gas russo se non c’è più il gas russo? Dietro la battuta però c’è la realtà dei ricatti di Vladimir Putin che, ieri, hanno costretto una riluttante Christine Lagarde ad ammettere che nel caso in cui la Russia azzerasse le forniture «e ci siamo vicini» entreremmo in recessione. La Commissione europea, dopo mesi di rinvii, ha finalmente sposato l’idea di un tetto al prezzo del gas ma vuole limitarlo al gas russo per paura che un tetto esteso possa convincere gli altri fornitori a dirottare le risorse verso nazioni e aree del mondo disposte a pagare di più.
L’Italia, invece, vuole un tetto al gas esteso a tutti gli hub e i contratti europei, compreso il mercato olandese Ttf, con prezzi che gli esperti non faticano a definire “impazziti” e che anche per volume di scambi viene considerato poco rappresentativo e più facilmente manipolabile.
Durante la prima discussione informale la proposta italiana ha incassato l’appoggi di paesi particolarmente esposti alla crisi, come Polonia, Lettonia, Slovacchia, e anche di Belgio e Lussemburgo. L’Olanda dove ieri si è recata in visita la presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, resta contraria a ogni ipotesi di intervento sul mercato. La Germania non si è ancora pronunciata. Ma è solo guardando alla mappa dei fornitori di energia delle nazioi europee e a come è profondamente cambiata nell’ultimo anno che si comprende la delicatezza del momento e di come potrebbero influire sui prezzi.
La mappa dei fornitori
Le vie del gas che alimentano l’Europa sono profondamente mutate, e lo hanno fatto in ordine sparso, senza un reale coordinamento tra le diverse aree geografiche dell’Unione.
Già nella prima metà del 2022 la Russia aveva tagliato l’84 per cento delle forniture alla Polonia, il 31 per cento di quello diretto verso Slovacchia e Austria e da qui in Italia. Contemporaneamente la Norvegia ha dirottato le sue esportazioni verso la Germania aumentandole del 55 per cento e verso la Francia (più 18 per cento) e tagliando invece di un quarto quelle dirette verso l’Olanda.
L’Algeria ha diminuito del 40 per cento quelle verso la Spagna e ha invece aumentato i flussi verso il nostro paese. Soprattutto si sono impennate tutte le importazioni di Gnl: più 70 per cento per la Spagna, più 74 per cento per la Francia alle prese con grossi problemi nei suoi impianti nucleari, più 83 per cento per l’Olanda. Infine è cresciuta del 68 per cento anche il nostro import dall’Arzebaijan, tramite il gasdotto che passa dalla Grecia e arriva all’Italia.
Nel frattempo i prezzi sono aumentati di dieci volte alla borsa olandese e i costi “marginali” per assicurare i contratti ormai pesano per l’80 per cento. I prezzi europei al momento sono completamente fuori scala comparati all’Asia, dove il gas è venduto a circa 180 MWh, e non sono nemmeno comparabili a quelli americani (30 MWh).
Diplomazia contro mercato
La Commissione europea, invece, ha paura di uscire sconfitta nel grande gioco del mercato dell’energia, tra venditori americani e africani e acquirenti asiatici. La paura, insomma, non viene più dalle scelte del Cremlino. Nonostante gli annunci del governo russo di nuove intese per esportare il gas a Est con nuovi gasdotti, al momento a Mosca resta un solo sbocco verso Ovest. Certo la Cina ha la possibilità di pagare a basso prezzo il petrolio russo e di rivenderlo a prezzi più alti esattamente come stanno facendo i supposti alleati occidentali sauditi. Ma la vera preoccupazione di Bruxelles è trovarsi tagliata fuori dal mercato globale del gas liquefatto e con questo timore, tituba anche a mettere un limite al prezzo del gas via gasdotto che è tutto un altro mercato.
Per il governo italiano i paesi che esportano via gasdotto possano trovare comunque il prezzo bloccato remunerativo: i gasdotti, come hanno fatto notare anche dal governo francese nel primo confronto sulla proposta italiana, non si spostano, anche l’offerta quindi non è elastica. Roma, poi, è convinta che le relazioni con questi paesi contino molto in questo frangente e per questo si sta spendendo molto a livello diplomatico.
È passato quasi inosservato per esempio l’incontro del primo ministro Mario Draghi, il primo settembre scorso, con il presidente della repubblica dell’Arzebaijan, Ilham Aliyev, e che invece è uno dei tasselli della strategia sull’energia. Il nostro paese, del resto, dipende soprattutto da infrastrutture fisiche che ci ancorano al Mediterraneo e meno dal mercato del Gnl.
Gli esperti di energia che il governo sta consultando in questi mesi, sono ben consapevoli del fatto che per attirare il gas americano e non “soccombere” di fronte alla attrattività dei mercati asiatici, serve un sistema parallelo che possa mettere in tasca agli americani abbastanza denaro per ripagarli del costo del trasporto, di quelli assicurativi, e partendo come base minima dal prezzo di riferimento per gli Stati Uniti (Henry Hub). E infatti la proposta italiana per il Gnl prevede un sistema di ristori per gli importatori che possa quindi soddisfare gli esportatori. Ovviamente tutto questo può funzionare solo con un accordo unanime, e per trovarlo non basteranno giorni, ma settimane con i prezzi nuovamente in risalita.
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