Redazione 18 ottobre 2022 18:33
Una condanna a tredici anni di carcere ciascuno per Armando Lallà Di Silvio e il figlio Gianluca e a sette anni e sei mesi ciascuno per Gina Cetrone e l’ex marito Umberto Pagliaroli.
Queste le richieste dei pubblici ministeri della Direzione distrettuale antimafia Corrado Fasanelli e Luigia Spinelli nella penultima udienza del processo ‘Scheggia’. Le richieste avanzate al Tribunale sono arrivate a conclusione di oltre due ore di requisitoria nella quale i rappresentanti dell’accusa hanno ricostruito l’inchiesta per la quale i quattro imputati sono chiamati a rispondere di estorsione, atti di illecita concorrenza, violenza privata, oltre ad una serie di illeciti con l’aggravante delle modalità mafiose nell’ambito della campagna elettorale per le consultazioni amministrative di Terracina del 2016.
Nel suo intervento la Spinelli si è soffermata in particolare sulla estorsione ai danni dell’imprenditore abruzzese Massimo Bartoccini, estorsione commissionata dalla Cetrone e dal marito ai componenti del clan di Campo Boario compreso Agostino Riccardo che allora ne faceva parte a pieno titolo. E E dichiarazioni del collaboratore di giustizia secondo il pm risultano pienamente credibili quando ricostruiscono gli incontri a casa dell’imputata che voleva recuperare il suo credito con la vittima accompagnata a Pescara da Riccardo e Di Silvio per verificare che venisse effettuato il bonifico e che poi si sono fatti pagare da Bartoccini anche il disturbo. Una ricostruzione che appare credibile anche alla luce delle dichiarazioni della vittima, spaventata dalla presenza dei componenti del clan, e dai numerosi messaggi e conversazioni telefoniche che confermano i rapporti tra la Cetrone, Pagliaroli e il gruppo di Campo Boario. Una estorsione della quale il leader del gruppo, Armando, era costantemente informato.
Fasanelli ha invece ricostruito le modalità attraverso le quali lo stesso gruppo ha gestito la campagna elettorale per le amministrative di Terracina del 2016 sbaragliando a colpi di minacce i rappresentati di altri candidati nell’opera di attacchinaggio dei manifesti elettorali della Cetrone. Il tutto su richiesta di Pagliaroli che sollecitava interventi forti affinché venisse data massima visibilità alla moglie. Un accordo quello tra gli imputati che secondo i magistrati della Dda, che hanno definito le dichiarazioni con le quali durante il dibattimento la Cetrone ha preso le distanze dal clan del tutto prive di fondamento, si è espresso in azioni, comportamenti e metodi decisamente mafiosi.
Si torna in aula il 25 ottobre quando la parola passerà alla difesa, poi il Tribunale presieduto da Caterina Chiaravalloti entrerà in camera di consiglio per la sentenza.