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Un terreno comune è necessario per la sopravvivenza dei rapporti

Ciao Giulia,

diciamo che in questo periodo le domande si avviluppano e diventano facile paranoia. È un periodo complesso emotivamente, ma anche a livello lavorativo: centinaia di scadenze, ma nessuno che risponde alle mail per tempo. Comunque sia. Mi chiedevo che pensi di questo ragionamento: data la consapevolezza che l’Europa andrà incontro a difficoltà economiche e che la situazione geopolitica non sia poi troppo rosea, considerata una certa tensione tra generazioni soprattutto in paesi con problemi demografici come l’Italia e la Germania, mi chiedevo se sia il momento di riunirsi in bolle, in micro-comunità con persone che hanno opinioni simili, simili letture del mondo. Penso che sia un momento in cui la prossimità culturale permetta di comprendersi e capirsi, in un momento in cui è facile fraintendersi.

Vivo fuori dall’Italia da oltre dieci anni e, per la prima volta in vita mia, consiglio ad amici di trovare partner di estrazioni culturali e sociali simili. Magari anche della stessa nazionalità, se non della stessa regione. Ho sempre avuto una certa repulsione nei confronti delle persone che si fidanzano con persone troppo simili – coppie eterosessuali dove lui è la versione maschile di lei, o coppie omosessuali dove loro sembrano gemelli/gemelle. A questo punto però mi sto ricredendo.

Che ne pensi? Può essere la prossimità culturale uno strumento per sentirsi a proprio agio, per evitare conflitti e magari sentirsi un filo più giusti? O è una perdita di diversità che semplifica la vita, ma che ci priva anche di categorie mentali e di un confronto sincero?

Grazie mille,

S.


Caro S.,

l’hai presa un po’ larga: a prescindere dagli equilibri geopolitici del proprio continente penso che le affinità elettive tra esseri umani siano da sempre una delle basi delle relazioni di qualsiasi natura. Altrimenti come lo passiamo il tempo quando abbiamo finito di guardarci nelle palle degli occhi? Un terreno comune è necessario alla sopravvivenza dei rapporti, che siano d’amore, di amicizia o professionali (molto meno per questi ultimi, perché comunque almeno ti pagano per passare il tempo con persone che odi, farlo a gratis sarebbe puro autolesionismo).

C’è un’epoca in cui le nostre frequentazioni si fondano sulla prossimità geografica e sul grado di simpatia che la propria madre ha nei confronti di quella di qualcun altro. Quella fase finisce intorno alle scuole medie, da lì in poi le persone in teoria ce le scegliamo con qualche criterio in più. E anche se ci illudiamo di essere trasversali e liberi di pregiudizi, non c’è sempre una qualche forma di selezione basata su quella che chiami prossimità culturale e potremmo forse allargare al concetto di classe sociale? È difficile sfuggire alla propria natura, molto più difficile che assecondarla.

Le bolle esistono ed esisteranno sempre, tra le due credo sia bene ricordarsi che c’è dell’altro al di fuori di queste (tutti i miei conoscenti a un certo punto hanno votato +Europa, e non aggiungo altro). In quanto alla diversità appiattita io non mi preoccuperei troppo: avere interessi simili non vuol dire necessariamente essere dei cloni. Si può apprezzare insieme una retrospettiva su Ingmar Bergman e avere personalità diverse.

Si può essere esperti di brutalismo architettonico ed essere persone di merda e non leggere un libro all’anno ed essere amici preziosi. Le affinità elettive sono tante e insondabili e credo non ci si debba creare troppe aspettative in un senso e nell’altro. Certo è che un terreno comune è un buon punto di partenza.

Giulia


Cara Giulia,

ho 25 anni e una mente super contorta.

Sono in una relazione col mio ragazzo da cinque anni, è stata una sorpresa quando l’ho conosciuto, non ci aspettavamo ma ci siamo trovati. È un continuo spasso con lui, risate a non finire, passione alle stelle, c’è tanto dialogo, tranne quando si tratta di litigi.

Sono una persona molto gelosa ed è proprio questa la causa di tutti i nostri litigi.

Sono super iper gelosa dei like che mette sui social, a ragazze che non conosce (perché non ha amiche), che siano famose e non, che rispecchino i suoi canoni e non, che siano belle prosperose o che abbiano solo un bell’outfit. Gliene ho parlato in lungo e in largo, ma è arrivato a un punto che inizia a ignorarmi, forse stanco delle mie reazioni. Lui si giustifica sempre con «ma non lo faccio apposta, ma non me lo ricordo, ma chi la conosce, sono solo like a gente che non conosco e non mi interessa».

Sono in continuo conflitto con lui e con me stessa, mi reputo sempre sbagliata quando accadono queste occasioni.

Sono sicura che ne avrai sentiti tanti di casi come il mio… Spero tu possa aiutarmi a schiarirmi le idee perché la confusione si è fatta padrona della mia testa, e magari a dare un miglioramento alla mia relazione sotto questo punto di vista.

Grazie,

F.


Cara F.,

mi ricordo di aver risposto a una ragazza con il tuo stesso problema, qualche mese fa, quindi mi permetto di riproporti una risposta simile ma diversa. La risposta simile è: ci sono diversi gradi di separazione tra il tuo ragazzo e le tipe dell’Instagram e guardare non è un reato (se lo fosse sarei già in prigione per le cose che dico su Austin Butler da quando ho visto il film su Elvis). A quella risposta, che non vuole sminuire i tuoi sentimenti ma ridimensionarne la gravità sì, aggiungo però una cosa che spero non radicalizzerà troppo la tua posizione. Però: a lui cosa costa non mettere più quei cazzo di like? Cioè, il fatto in sé non mi sembra gravissimo, e tu sicuramente ti devi dare una calmata. Ma una volta che è stato messo in chiaro che a te questa cosa dà fastidio, lui non può semplicemente esimersi? Ha una condizione medica che lo costringe a fare doppio clic sulle foto di una figa? Cercando di mantenere la calma io proverei a mettergliela su questo piano qui: se per lui non è una questione di vita o di morte spargere un tot di cuoricini al giorno magari può farti sto favore e smetterla, grazie.

Giulia

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