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In una conferenza stampa più confusa che mai, la premier risponde con la retorica alle domande sul naufragio.
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Nel decreto legge, votato all’unanimità, ci sono nuove fattispecie di reato contro gli scafisti, con pene fino a 30 anni. Ma anche la semplificazione delle procedure di espulsione.
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In giornata c’è stato il giallo dell’articolo di Crosetto poi cancellato, che commissariava Piantedosi e Salvini, dando potere alla Marina militare.
Il consiglio dei ministri a Cutro doveva essere la mossa del governo per uscire dall’angolo, dopo le critiche per la gestione del naufragio in cui hanno perso la vita almeno 72 persone. Invece la giornata dell’unità dell’esecutivo è diventata l’ennesimo pasticcio comunicativo.
In una conferenza stampa più confusa che mai, la presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, è stata chiamata per la prima volta a spiegare la dinamica del disastro. La sua risposta, anzi la sua domanda retorica, è rimasta la stessa: «Credete davvero che il governo volontariamente abbia fatto morire delle persone?». Nessuna spiegazione chiara, invece, sugli interrogativi concreti e i punti ancora oscuri intorno alla tragedia: perché la guardia costiera non è intervenuta e cosa è successo nel lasso di ore tra la segnalazione di Frontex e la chiamata di emergenza.
I nuovi reati
Il governo, infatti, ha preferito tenersi alla larga dalla questione di merito e sceglie invece la strada ormai canonica davanti ad ogni tragedia o emergenza: alzare la pena dei reati già presenti e inventarne di nuovi. Nel caso del nuovo decreto legge in materia di «flussi di ingresso legale» e «prevenzione e contrasto all’immigrazione irregolare» viene inasprita la pena per il traffico di migranti, portandola fino a 16 anni, e creata una nuova fattispecie che punisce da 20 a 30 anni di reclusione, quando la conseguenza non voluta del traffico di clandestini è la morte o la lesione di più persone.
«Questa gente io la voglio combattere e sconfiggere», ha detto Meloni, spiegando che il reato sarà «universale», ovvero dovrebbe colpire «tutti gli scafisti nel mondo». In altre parole, «chi organizza, promuove e finanzia la tratta», le è venuto in aiuto il ministro della Giustizia, Carlo Nordio, spiegando che il reato sarà punito in Italia anche nei casi in cui la morte o le lesioni avverranno fuori dal territorio italiano.
Accanto ai nuovi reati, la parte del decreto che più è piaciuta alla Lega e che ricade sotto la competenza del Viminale, guidato da Matteo Piantedosi, è quella che semplifica le procedure di espulsione e la creazione di centri di permanenza e rimpatrio e restringe i casi in cui è possibile ottenere la protezione speciale «che si è allargata a dismisura».
Parallelamente, viene ripristinato il decreto che gestisce i flussi illegali di migranti, azzerando le quote e creando corsie preferenziali per gli stranieri formati, utili alla richiesta di manodopera che viene dal tessuto produttivo. Il messaggio dichiarato dal governo è che «in Italia non conviene entrare illegalmente», è la conclusione di Meloni.
Nulla più è stato detto sulle morti a Cutro, nè la premier ha incontrato le famiglie delle vittime o i sopravvissuti che si trovano nella cittadina calabrese. Tanto che, a fine giornata, è stata diramata una nota sul fatto che «nelle prossime ore i familiari delle vittime della tragedia» verranno invitati a palazzo Chigi.
Il caso Crosetto
La giornata ha offerto anche un ulteriore colpo di scena che evidenzia la confusione dentro il governo. In mattinata, infatti, era circolata una bozza del decreto legge, contenente un articolo che di fatto portava il controllo dei flussi migratori in mare sotto il controllo di un ministro di sua comprovata fiducia, il ministro della Difesa, Guido Crosetto, commissariando quindi il duo Salvini-Piantedosi.
L’articolo, infatti, prevedeva che «la marina militare definisce e aggiorna la situazione marittima nazionale da condividere in ambito intergovernativo» e per farlo «si avvale del Dispositivo integrato interministeriale di sorveglianza marittima, quale supporto tecnologico di connessione dei sistemi in uso dalle citate amministrazioni, costituito presso il comando in capo della squadra navale». Per farlo, le modalità attuative «sono definite con decreto del presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del ministro della Difesa, di concerto con i ministri interessati».
In altre parole, la gestione operativa doveva venire affidata alla marina militare e le modalità di coordinamento sarebbero state decise da Meloni stessa, su proposta di Crosetto. Degradando così in un colpo solo il ministero dell’Interno e quello dei Trasporti, titolari della guardia di finanza e della guardia costiera.
Dopo ore di tensione da parte della Lega, l’articolo è sparito dal testo definitivo, votato all’unanimità.
A domanda diretta, Meloni ha spiegato che «l’emendamento l’aveva proposto il ministro Crosetto» ma non è risultato poi convincente perchè «il nostro sistema funziona e c’è un precedente non fortunatissimo sull’utilizzo della Marina che è quello di “Mare nostrum”», quindi il ministro, che non era presente al cdm, «mi ha scritto chiedendomi di ritirarlo». Peccato che solo qualche ora prima lo stesso Crosetto avesse rilasciato una nota, dicendo che la notizia del «rafforzamento della sorveglianza marittima da parte del Ministero della Difesa è totalmente priva di fondamento». Un’altra contraddizione di un governo che più tenta di raddrizzare la rotta, più sembra sbandare.
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