ROMA – «Sono figlia del calcio femminile» e «la Roma è una grande visione», parole e gesti di mani che dal cuore si aprono al mondo sono di Betty la “visionaria”, e tanto basta per capire cosa fa seduta nell’ufficio in affitto al Centro Federale del Coni Giulio Onesti all’Acqua Acetosa a Roma. Elisabetta, detta Betty, Bavagnoli nel 2018 è arrivata alla Roma per guidare l’appena acquisita squadra di serie A, nel 2021 ha accettato il ruolo offertole dal club di Head of Women’s Football, ovvero direttrice del dipartimento femminile dell’AS Roma e ha messo su quella che era sua panchina Alessandro Spugna. Nel 2023 è a un passo dallo scudetto e a una settimana dai quarti di Champions contro il Barcellona, all’Olimpico (tre giorni fa è stato abbattuto il muro dei 25 mila biglietti).
Betty, che ha fatto?
«Ho l’anima da tecnico, però sapevo che in questo ruolo avrei potuto fare e dare di più. Non potevo accontentarmi di fare l’allenatrice. Io sono figlia del calcio femminile e quando vedo le bambine mi commuovo perché sono tutto quello che volevo essere quando ero piccola».
In affitto al Coni sognando un centro della Roma per le donne?
«Piano piano rosicchiamo e ci ampliamo. Aprire un centro della Roma femminile fa parte dei nostri obiettivi, per essere unici, prendere decisioni, avere libertà. Però siamo molto felici di stare qui e molto grati al Coni».
Avete giocato le partite di Champions in trasferta a Latina per mancanza di uno stadio con le luci, un po’ assurdo non crede?
«Spostarsi da Roma poteva essere un sacrificio ma alla fine si è aperto un mondo che ha fatto diventare positivo quello che era un problema dell’AS Roma, visto il risultato in termini di disponibilità da parte del Latina, delle persone che hanno lavorato a ogni evento, della gente che ha scoperto la bellezza del calcio femminile. La mia società è stata eccezionale. E pure i tifosi romanisti che si sono sobbarcati le trasferte. Per questo mi rende felice giocare all’Olimpico, lo considero un regalo per loro».
I tifosi sono gli stessi della maschile?
«Credo che abbiamo costruito una tifoseria per le donne, ma siamo riusciti a coinvolgere anche quella degli uomini che quando viene a vedere le donne non ha stress e ansie».
Che effetto avrà la partita col Barcellona?
«In Italia c’è bisogno di conoscere questo sport e il livello raggiunto. La partita all’Olimpico è una gara di dimensione internazionale. Abbiamo i piedi per terra, siamo umili, però dopo quattro anni ci ritroviamo a giocare all’Olimpico i quarti di Champions con il Barcellona. E anche se il club spagnolo è nato nel 1988 e noi nel 2018, e parliamo di due storie molto diverse, ci sarà uno spettacolo. Vado fiera perché questa squadra l’ho iniziata io e il 21 saremo lì a giocare contro una superportenza. Deve essere un orgoglio per tutti. L’Olimpico e il Camp Nou, già entrare in questi stadi per le nostre ragazze vale la partita, al di là del risultato. Potremo fare un miracolo o no, ma vedere la AS Roma occupare uno spazio in un panorama internazionale è la “visione”».
Il cammino del calcio femminile si è fermato al professionismo?
«Io vedo il bicchiere sempre mezzo pieno, non ho pensieri negativi. Questo calcio è la mia storia. Il 2015 è il momento dell’evoluzione, del grandissimo passo che ha comportato cambiamenti in strutture, competenze, qualità. Siamo arrivati al professionismo, un punto di partenza, non possiamo fermarci più. Non dobbiamo perderci d’animo, di strada da fare ce n’è tanta. Servono investimenti da parte di tutti, dalla Federazione ai club».
Non tutti i club però sono disposti o interessati a investire.
«Ci sono società professionistiche che hanno deciso di intraprendere il percorso prima. Altre che non lo hanno fatto, ma credo che in futuro tutti si innamoreranno del calcio femminile. E’ una risorsa importante per il Paese. Un’altra grande piattaforma parallela al maschile, che dà visibilità, che offre un modo diverso di vedere il calcio».
Lei da allenatrice è stata un po’ all’ombra di Carolina Morace. Accettando la Roma è come se avesse deciso di venire allo scoperto?
«Già, non sono nemmeno sui social! Per il progetto-Roma sono stata contattata. Avevo voglia di mettermi alla prova. Ho fatto tanta gavetta e sempre avuto il bisogno di mettere la mia esperienza a disposizione di tutti. La Roma per me è una grande visione. Questa è una società con una grande storia, ho sentito di essere chiamata per costruire la storia del femminile. Obiettivo: alzare sempre l’asticella. E così ho fatto».
Sempre più allenatori scelgono il femminile non c’è il rischio che si prendano tutto?
«Gli uomini sono semplicemente più delle donne. Ma all’interno del nostro mondo lo sguardo femminile in qualunque ruolo è importante. Bisogna dare la possibilità alle donne di mettersi alla prova. Il loro coinvolgimento è naturale».
Lei era con Morace nel 1999 quando Gaucci vi affidò la Viterbese in serie C. In 24 anni non è successo un’altra volta. Perché?
«In Italia non siamo pronti, ma in futuro ci saranno sempre più donne che si metteranno a disposizione. Si dovrebbero unire le forze e smettere di ragionare per genere».
Debutta la prima poule scudetto della storia, la Roma anticipa venerdì contro la Fiorentina. Che ne pensa della nuova formula?
«E’ tutta da provare, stiamo aspettando con grande curiosità. Ho la sensazione che ci saranno spettacolo e belle partite anche nel poule salvezza. Può giovare alla nostra immagine. La gente chiede spettacolo ed emozioni».
Avete un bel margine di vantaggio, vuol dire scudetto vinto?
«Come dice Spugna rimaniamo coi piedi per terra. Non abbiamo ancora fatto niente. Sono orgogliosa nel dire che la crescita parte da lontano, dalle nostre bambine, dal settore giovanile. Abbiamo fatto passi avanti, investito sotto ogni aspetto: dal convitto, al liceo di Trigoria, all’aspetto nutrizionale, piscologico, tecnico, formativo. Lo scudetto quindi è la costruzione di un percorso. Quando vedremo la bambina su cui abbiamo investito esordire in prima squadra avremo vinto anche altre battaglie».
Questa è la quinta stagione della Roma in serie A femminile, l’evoluzione è evidente, quanto le somiglia tutto questo?
«Senza il lavoro certosino di tutti non avremmo raggiunto questi risultati. Devo tanto a chi lavora con me, dal diesse Migliorati al direttore operativo Stigliano a tutto lo staff che mi accompagna: nessuno da solo può costruire».
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