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Risurrezione di Lazzaro: il Dio che ridona la vita

Il racconto della risurrezione dell’amico Lazzaro ( Gv. 11, 1-45) ormai conduce Gesù verso l’ultima Pasqua. Gesù vuole nascondersi al di là del Giordano, ma l’amore per l’amico malato lo costringe a mostrarsi di nuovo, e nella sua manifestazione più potente, che gli causa la condanna a morte. Nel momento in cui Gesù mostra la sua potenza di vita, viene condannato a morte. Anche in questo episodio, l’evangelista vuole condurre il lettore da una comprensione puramente terrena al suo significato più profondo: la fede nella risurrezione e nella vera vita.

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Gesù e i discepoli

Questa malattia non porterà alla morte, ma è per la gloria di Dio” (v. 4). Gesù esplicita il valore simbolico di quanto accadrà a Lazzaro. A questo scopo utilizza il termine “gloria”, che non indica la condizione ultraterrena, ma è strettamente connessa con la morte in croce e la risurrezione di Gesù. In questa lettura soprannaturale degli eventi non deve sorprenderci la reazione di Gesù che non si reca subito a trovare l’amico malato, ma si intrattiene per due giorni oltre il Giordano (v. 6). Più avanti Gesù esprime l’urgenza di agire finché è in vita, muovendosi all’interno del progetto del Padre e sotto la sua protezione, e invita i discepoli così a non aver paura (vv. 9-10).

Gesù e Marta

Il dialogo rappresenta il punto culminante del brano dal punto di vista teologico. Gesù giunge a Betania dopo quattro giorni dalla sepoltura di Lazzaro. Il fatto che Gesù arrivi quando l’anima è già partita verso il regno dei morti e il corpo ha iniziato a corrompersi, esprime la definitività della condizione di Lazzaro; il miracolo assume una valenza simbolica più forte rispetto al riportare in vita la figlia di Giairo e il figlio della vedova di Nain.

Marta va incontro a Gesù con una frase che suona come un velato rimprovero: “Se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto” (v. 21). Ella conosce il potere del Maestro come guaritore delle malattie. Tuttavia subito dopo aggiunge la propria dichiarazione di fede: “Ma anche ora so che qualunque cosa tu chiederai a Dio, Dio te la concederà” (v. 22). La fede di Marta comprende l’evento della risurrezione futura, ma ancora non ha piena consapevolezza del potere di Gesù.

All’interno del dialogo Gesù pronuncia una delle dichiarazioni più “rivelatrici” della sua identità: “Io sono la risurrezione e la vita” (v. 25). Gesù afferma di essere la risurrezione per tutti, per ogni credente, e in lui chiunque crede ottiene una vita che non finisce. In questo senso ciò che sta per accadere a Lazzaro viene assunto come segno che qualifica l’esperienza di ogni credente. Egli vuole innanzitutto offrire una possibilità di vita differente, più profonda e autentica, centrata sulla fede in lui; la fede permette l’inizio di un nuovo modo di vivere, per cui l’atto di credere diventa esso stesso una “risurrezione” che segna l’inizio di una vita nuova.

Marta già aderiva alla dottrina teologica della risurrezione: “So che risorgerà nella risurrezione dell’ultimo giorno” (v. 24); Gesù aggiunge che la vita del credente non è solo frutto di una adesione teorica, ma è innanzitutto una questione di un rapporto vivo e autentico con lui, origine della vera vita. Dal dialogo con Gesù, Marta non ha capito qualcosa in più razionalmente, ma ha percepito nel rapporto con lui che egli è degno di fiducia. L’evangelista Giovanni pone Marta come modello di fede del discepolo che, pur nella fatica della condizione umana, riconosce l’identità profonda di Gesù e attraverso di lui raggiunge la vera vita.

Gesù e Lazzaro

Dopo il dialogo con Marta, avviene l’incontro rapido e intenso con Maria. In questa circostanza Gesù si lascia trasportare dalla commozione: “…si commosse profondamente…Gesù scoppiò in pianto” (vv. 33-35). L’episodio sottolinea in modo significativo i sentimenti di Gesù: turbamento, pianto, commozione profonda. Da un lato, ciò è espressione dell’umanità di Gesù: la morte è in ogni caso una realtà dura, difficile da affrontare, e non va minimizzata e, inoltre, il profondo legame emotivo con il defunto e con le sue sorelle non gli permette di restare indifferente a tanto dolore.

D’altro canto, questa sottolineatura possiede anche un significato teologico: esprime la compassione di Dio di fronte al dramma dell’esistenza umana, che si trova a giacere nelle tenebre del peccato e della lontananza da Dio come in un sepolcro, ritrovandosi priva della vita vera che proviene dal rapporto con Dio; per questo motivo Gesù innalza una preghiera che esprime sia il suo rapporto unico con il Padre, sia la loro comune compassione verso l’umanità.

Padre, ti rendo grazie perché mi hai ascoltato…” (v. 41). La preghiera di Gesù conferma che egli non è mosso da una semplice vicinanza umana, ma il suo centro di equilibrio interiore resta sempre il rapporto con il Padre. La scena della “rivivificazione” di Lazzaro contiene alcuni rimandi simbolici: il ritorno in vita di Lazzaro diventa segno della vita eterna futura; dall’altro, l’atto di fede che si concretizza nell’ascolto della voce di Gesù già inaugura la vita nuova alla quale il credente fin da ora ha già accesso. Le bende e il sudario in cui Lazzaro è avvolto instaurano un legame con la sepoltura dello stesso Gesù, con la differenza che i teli funerari di Gesù resteranno afflosciati e vuoti, segno di una vita che continua altrove rispetto a questo mondo.

La reazione di molti presenti si concretizza nell’adesione di fede a Gesù (v. 45): il segno della risurrezione di Lazzaro è talmente evidente che non lascia campo a dubbi e diventa fonte di fede e oggetto di testimonianza in favore di Gesù. Ma suscita anche la reazione opposta dei sacerdoti che decretano la condanna a morte di Gesù e successivamente anche di Lazzaro. Ma la gloria di Dio si manifesterà pienamente proprio nel mistero pasquale e il lettore del Quarto vangelo è ormai preparato ad accoglierne la rivelazione.                                                                                

Il Capocordata.

Bibliografia consultata: Vuaran, 2023.

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