Redazione 06 ottobre 2022 19:40
Lo spettro del caporalato, del lavoro nero, dell’usura e delle infiltrazioni mafiose sul settore agricolo. E’ il tema affrontato dalla Coldiretti Lazio in un rapporto realizzato dalla Fondazione Osservatorio sulla criminalità nell’agricoltura e sul sistema agroalimentare, in collaborazione con la Regione Lazio e il ministero della Transizione Ecologica. Il documento analizza il fenomeno dell’illegalità e della criminalità nelle filiere agroalimentari nelle province del Lazio. Nel dibattito sono intervenuti anche il magistrato Gian Carlo Caselli, presidente del comitato scientifico della Fondazione, e Daniele Leodori, vice presidente della Regione. Fra i relatori l’avvocato generale presso la Corte di Cassazione e coordinatore del gruppo di ricerca Pasquale Fimiani, Riccardo Fargione del Centro Studi di Coldiretti “Divulga”, il maggiore Aldo Papotto, capo divisione gestione Risorse Finanziarie, Pianificazione Spesa e Controllo del commissario di Governo Bonifica dei siti contaminati e discariche abusive e il giornalista Stefano Liberti. A chiudere i lavori il presidente di Coldiretti Lazio, David Granieri.
Tassi usurai del 120% nel Lazio
La Coldiretti ha spiegato che nel Lazio si stima un tasso usuraio medio del 120% annuo anche nel comparto agricolo, con un giro d’affari complessivo pari a 40 milioni di euro. I dati peggiori arrivano dalle province di Roma e Latina, rispettivamente con 15 milioni e mezzo e 13 milioni, mentre il giro d’affari è di 8 milioni a Viterbo, 2 a Frosinone a un milione a Rieti. “La crisi sociale ed economica determinata dalla pandemia – spiega il presidente di Coldiretti Lazio, David Granieri – ha avuto un impatto devastante sul comparto agroalimentare. Le inevitabili chiusure per lunghi periodi imposte dal lockdown hanno pesato su ristoranti e bar, mentre l’inflazione ha fatto lievitare i prezzi del cibo e il costo delle materie prime è notevolmente aumentato con una deflazione nei campi. Aspetti che hanno contribuito alla crescita di fenomeni come l’usura e hanno creato terreno fertile per le organizzazioni criminali che hanno sfruttato le difficoltà economiche di chi lavora in questo settore. E’ fondamentale continuare a svolgere un attento monitoraggio così come la Fondazione Osservazione Agromafie sta facendo, mantenere alta l’attenzione sui fenomeni mafiosi e svolgere azioni investigative e giudiziarie di contrasto”. Dunque la crisi economica causata dal Covid ha permesso alle mafie di radicarsi ancora di più soprattutto nel settore della ristorazione e di condizionare la produzione agricola. “La Fondazione Osservatorio agromafie – spiega il presidente del Comitato scientifico, il magistrato Gian Carlo Caselli – ha cercato negli ultimi anni di svolgere un’approfondita analisi per mettere in luce i progressi, ma anche quelli che sono gli elementi di criticità che ancora permangono lungo la filiera agroalimentare”.
Gli interessi di camorra e ‘ndrangheta
Con 50mila imprese agroalimentari presenti e circa 70mila addetti, il Lazio riveste un ruolo particolarmente rilevante nel panorama della produzione nazionale e risulta dunque appettibile per le mafie. Tra le organizzazioni criminali tradizionali, la camorra occupa senz’aaltro una posizione di spicco in tutta la regione. Ad oggi infatti sono 85 le aziende confiscate (il 26,4% del totale), con infiltrazioni concentrate soprattutto nella ristorazione. La ‘ndrangheta appare invece meno legata a settori specifici e risulta infiltrata anche in altri comparti, come quello delle costruzioni, quello immobiliare e del commercio. Quanto invece ai gruppi criminali autoctoni, questi appaiono presenti in tutti i settori dell’economia, coprendo circa i due terzi delle attività economiche confiscate, ma il principale settore di investimento resta quello della ristorazione.
Il caporalato in provincia di Latina
Il rapporto di Coldiretti si è concentrato anche sul fenomeno del caporalato, con un’alta concentrazione nell’agro pontino e in quello romano. Nel rapporto si evidenzia che gli occupati nel settore agricolo nel Lazio registrati negli archivi dell’Inps ammontavano nel 2019 a 45.236 unità. I dati mostrano una prevalenza del lavoro a tempo determinato su quello a tempo indeterminato, appannaggio soprattutto di lavoratori stranieri che superano il 90% degli occupati. La restante quota svolge attività a tempo indeterminato. Sul totale degli oltre 45mila occupati del Lazio, 20.824 sono nella provincia pontina, pari al 46% del totale; 11.627 sono invece nella città metropolitana di Roma, circa 9mila a Viterbo, 2mila a Frosinone e 1.557 a Rieti. Il 72,5% dei lavoratori è uomo, il restante 27,5% è rappresentato da donne. Ma i braccianti agricoli sul territorio del Lazio sono in prevalenza rumeni, marocchini, albanesi e, in provincia di Latina, anche indiani provenienti dal Punjab.Per i braccianti sfruttati e vittime di caporalato si va da lunghi orari di lavoro giornaliero alla bassa retribuzione, che è in genere minore di circa un terzo/la metà, dunque intorno ai 500/700 euro invece di circa 1.100/1.200, senza nessuna considerazione per le competenze professionali.