Quando i costituenti dettero vita alla Carta cercarono di elaborare un testo in cui le istituzioni fossero in equilibrio con la rappresentatività reale della volontà popolare. Per questo introdussero le maggioranze speciali, con l’indicazione di quorum, per la revisione della Carta e l’elezione dei vertici della Repubblica, il presidente, la Corte costituzionale e il Csm. Il principio era la rappresentanza proporzionale delle forze politiche. Tant’è che il Pci, con Antonio Giolitti, propose un articolo in cui si costituzionalizzava la legge elettorale proporzionale. Fu Meuccio Ruini a chiedere di attendere le elezioni del nuovo parlamento del 1948. L’articolo fu trasformato in ordine del giorno e votato all’unanimità.
Da anni l’indicazione dei costituenti è disattesa. Ma nessuna legge maggioritaria doveva essere introdotta senza una modifica dei quorum previsti per la revisione costituzionale e l’elezione dei vertici della Repubblica. All’epoca, dopo il crollo del regime fascista, si pose anche la delicata questione che lo sviluppo democratico non è irreversibile, dunque il tema del diritto alla resistenza civile e della disobbedienza civile, di come regolare il diritto-dovere naturale di chi si oppone al potere che intende violare la legge naturale della libertà.
La Commissione del 75 approvò l’art.50, che così recitava: «Ogni cittadino ha il dovere di essere fedele alla Repubblica, di osservarne la Costituzione e le leggi, di adempiere con disciplina e onore le funzioni che gli sono affidate. Quando i poteri pubblici violino le libertà fondamentali ed i diritti garantiti dalla Costituzione, la resistenza all’oppressione è diritto e dovere del cittadino».
L’articolo era frutto degli studi di un gruppo di cattolici democratici, Dossetti, Moro, La Pira, Fanfani, ispirati al personalismo di Mounier e alla rivista L’Esprit. Fu portato in assemblea generale nel maggio 1947. Ma in quel maggio cominciò una turbolenza internazionale e nazionale: le sinistre erano state lasciate fuori dal governo, erano incerti i rapporti tra l’Italia nuova e le potenze vincitrici della guerra perché non era stato ancora firmato il trattato di pace, non si sapeva ancora se la linea di demarcazione fra est e ovest passasse a est o a ovest di Trieste. E allora si volle evitare il surriscaldamento, accantonando l’articolo, e rinviandolo a tempi migliori. Fu un errore.
Lo svuotamento delle istituzioni
Perché in questi trent’anni vi è stato lo svuotamento delle istituzioni e della vita democratica, e un impensabile distacco fra popolo ed istituzioni. Ora, se dal 25 settembre verrà una situazione di ingovernabilità, per effetto di una legge balorda ma anche per il distacco fra istituzioni e popolo, bisogna riprendere il ragionamento dei costituenti e cioè un’esatta e corretta rappresentanza dei sentimenti politici del paese. E una tutela di chi ha il diritto-dovere, da cittadino, di tutelare la sovranità reale, che è il principio della libertà e dell’autonomia. Diversamente ci troveremo a discutere delle bollette dell’elettricità e delle altre bollette amare di una condizione sociale difficile.
Ma serve una ripresa di coscienza: la bolletta più disastrosa che una generazione può lasciare a quella successiva è quella della schiavitù, la madre di tutte le bollette. Il 26 settembre faremo l’inventario dei danni della legge elettorale alla rappresentatività e alle istituzioni. La democrazia è in difficoltà. Per ridare forza alla sovranità reale del paese serve una legge proporzionale. Se resta la legge maggioritaria, andranno modificati i quorum delle maggioranze speciali. E la reintroduzione del diritto-dovere dei cittadini all’opposizione a ogni autoritarismo, visibile o mascherato.
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