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Così Salvini fa propaganda contro i Rom partendo dalla legge sulle madri detenute

Matteo Salvini ci è cascato ancora. Proprio non riesce a resistere all’istinto populista che lo tiene intrappolato in una campagna elettorale permanente, puntando il dito contro i soggetti più vulnerabili per darli in pasto all’opinione pubblica e nascondere, così, i limiti della sua azione di governo. Non ha potuto, quindi, farsi sfuggire l’occasione per spargere, ancora una volta, odio  nei confronti della comunità rom.

Partendo dal dibattito parlamentare sulla proposta di legge riguardante le detenuti madri, si è subito lanciato nell’ennesima sparata: «Il Pd libera le borseggiatrici Rom che usano bimbi e gravidanza per evitare il carcere e continuare a delinquere».

Naturalmente, nessuno fino a quel momento aveva tirato in ballo riferimenti ad identità specifiche, ma a Salvini, in versione ministro degli Interni (ruolo che aveva nel Conte I) o delle Infrastrutture (con Giorgia Meloni premier) è uguale, tanto interviene su tutto, fra promesse di opere avveniristiche che rischiano la fine della secessione o dell’uscita dall’Euro e i sondaggi che arrancano, non resta che solleticare le viscere dell’opinione pubblica.

Italiani

Cerchiamo, allora, di chiarire alcuni punti. Uno: la stragrande maggioranza dei circa 170.000 Rom che vivono nel nostro paese è italiana. Alcune comunità sono, come si suol dire, di antico insediamento, in Italia da secoli. Due, lo precisiamo visto il costante rifermento a stereotipi che inducono a ridurre l’identità romanì a tratti somatici: i Rom, termine generico che raduna almeno cinque gruppi diversi (Rom, Sinti, Manouches, Kalé, Romanicharles), non sono un’etnia, ma un popolo.

Sono, quindi, di ogni colore e religione, per intendersi. Salvini appiattisce tutto sull’iconografia di una componente povera e marginalizzata come la propaganda antisemita dello scorso secolo appiattiva l’ebreo sull’ashkenazita dello shtetl, che rappresentava l’ebraismo povero, se non poverissimo. Stereotipo per stereotipo, è un po’ come usare l’immagine del mafioso per descrivere gli italiani. Terzo, ci sono Rom italiani stilisti, professori universitari, grandi musicisti, affermati sportivi, personalità politiche.

Stabilito questo, come cittadini italiani esigiamo per loro il rispetto che si deve a tutti i nostri concittadini. Non ammettiamo che vengano costantemente apostrofate o marchiate dai pregiudizi persone che per il nostro Paese hanno anche combattuto. Se la cosa può far piacere al nuovo governo, sostituiscano concittadini con compatrioti, a noi va bene uguale.

Vorremmo, poi, ricordare, che, se è vero che la soluzione finale era destinata a risolvere «il problema ebraico», insieme agli ebrei e a tanti altri, nei lager nazisti sono stati massacrati 500.000 Rom e Sinti (il nostro ministro vada a farsi un giro a Birkenau, dove potrà vedere il monumento dedicato). Cifra altamente sottostimata. Perché i nostri giovani non crescano nella stessa ignoranza dei più vecchi (neo cinquantenni compresi), esigiamo anche che, come il 27 gennaio si commemora la Shoà, nelle scuole si ricordi il Samudaripen, lo sterminio nazista di Rom e Sinti, con tanto di elenco dei di Rom e Sinti italiani passati da Auschwitz, di presenza dei reduci sopravvissuti e delle loro famiglie.

Giorgia Meloni

Siamo certi che una Presidente del Consiglio che ha recentemente utilizzato il termine «italiani» in modo così estensivo da cancellare la distinzione fra fascisti e antifascisti sarà d’accordo su questo punto. Come esseri umani, esigiamo, poi, che si ponga fine ad una politica che mira ad ottenere consenso spargendo odio a piene mani. Siamo consapevoli che l’avvelenamento del clima porti disastri per tutti.

Si sa, «prima di tutto vennero a prendere gli zingari, e fui contento, perché rubacchiavano. Poi vennero a prendere gli ebrei, e stetti zitto, perché mi stavano antipatici. Poi vennero a prendere gli omosessuali, e fui sollevato, perché mi erano fastidiosi. Poi vennero a prendere i comunisti, e io non dissi niente, perché non ero comunista. Un giorno vennero a prendere me, e non c’era rimasto nessuno a protestare».

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