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Fattore Dybala, la Roma ai suoi piedi: i numeri sono mostruosi

ROMA – Per lui il Mondiale è stato una specie di vacanza. Di quelle che passi alla finestra a roderti il fegato perché per qualche motivo – maltempo, emergenza sanitaria, cavallette – non puoi uscire. Poi arriva il minuto in cui serve l’eroe dell’azione finale, l’uomo dell’ultima speranza più una, e sei tu. Paulo Dybala, dopo una brevissima apparizione in semifinale, viene fatto entrare apposta per tirare un rigore della sequenza decisiva, per di più il quarto, quello che per le statistiche è la cima del diavolo, e per di più il secondo dell’Argentina dopo quello di Messi. E lo segna. Perché Paulo è così, un ghiacciolo che penzola dal cornicione finché non ti cade in testa.

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Un percorso senza pause

A differenza di Lautaro e Di Maria, Dybala non ha conosciuto particolari pause di riflessione nel suo rapporto con la Roma. È arrivato e ha preso possesso del cuore dei tifosi (vale anche il contrario, peraltro) e della leadership della squadra. La sua pausa, appunto, è stata il Mondiale, dal quale è uscito comunque luminoso e vincitore. Giusto tra ottobre e novembre ha conosciuto un infortunio piuttosto lungo, procurandoselo ironicamente mentre buttava dentro un penalty. Dunque ha dovuto abbandonare la Roma in un momento di altissima tensione, con il Napoli e il derby in arrivo. Partite perse, guarda un po’. E lui si è ripreso appena in tempo per andare in Qatar. Ma non fa niente. Dybala si conosce e conosce la propria indispensabilità. Riteneva di essere necessario alla Juventus, quindi si ritiene altrettanto necessario alla Roma. E lo dimostra. Contro il Salisburgo su un pianeta normale non avrebbe giocato. Ha voluto in prima persona sforzarsi oltre i limiti del rischio, perché non poteva lasciare sola la squadra in un momento simile. Un po’ come dire che il cavaliere solitario ha catturato il mucchio selvaggio circondandolo.

La metamorfosi della Roma

Ma è questo il paradosso che fa di Dybala la Joya. Anche lui, come Di Maria, gioca guardandosi alle spalle, anzi guardandosi le cosce e aspettando da un momento all’altro di sentirle fremere malamente. Eppure non rinuncia a una giravolta, a un tocco di suola, a un tiro al volo. Neppure a una partita di rilievo. Sfrutta semmai i momenti morti dell’azione, si ferma al primo avvertimento, decide lui se sia il caso di saltare qualche minuto. La metamorfosi che coglie la Roma quando Dybala è in campo impressiona: cresce la qualità, ovviamente, e cambia pure l’atteggiamento dei compagni. Passa qualsiasi scoramento, improvvisamente è come se tutto diventasse possibile. Non c’è vera Roma senza Dybala, e questo è un limite della squadra. Gli altri stanno imparando, certo, ma ancora oggi tutto sembra appoggiarsi sull’argentino e su Mourinho. Due che il club non deve perdere, non dopo averli posti alle fondamenta del futuro.


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