Gaia Tortora, figlia di Enzo, ha raccontato che ha rifiutato la richiesta di un magistrato e un pentito (“cialtrone”): “Cercano pubblicità”
Il libro edito da Mondadori si intitola Testa alta, perché così è uscita la famiglia Tortora dall’orrenda vicenda che l’ha distrutta, come l’autrice, Gaia, e suo padre Enzo. Il noto conduttore televisivo degli anni Ottanta che è stato vittima di uno dei più clamorosi casi giudiziari, accompagnato dalla mala informazione.
Una vicenda che nell’intervista concessa a Il Giornale definisce “uno dei più clamorosi casi di malagiustizia che la storia italiana ricordi, ma anche un calvario umano che sarebbe durato anni, deviando il corso di tante vite”. Una parte di magistratura e di informazione che, accusa, sono andate a braccetto.
Enzo Tortora era popolare, amato dalla gente, ma si trovò nella prima grande retata contro la Nuova camorra organizzata, il clan del sanguinario boss napoletano Raffaele Cutolo. Più di ottocento persone arrestate e oltre duecento successivamente dichiarate innocenti. Anche il padre che con la criminalità organizzata non c’entrava assolutamente nulla.
Però l’errore l’ha dovuto pagare, con la privazione della libertà e della serenità: sette mesi di carcere e quattordici di arresti domiciliari. Da quando il suo nome entrò nelle cronache giudiziarie fino alla certezza della sua totale estraneità con la sentenza della Corte di Cassazione, passarono quattro anni.
Gaia Tortora è una giornalista anche lei e ricordando quel caso che si poteva risolvere in due ore, come dissero gli avvocati, evidenzia che qualche collega che fece bene il proprio lavoro ci fu, ossia Feltri.
Gaia Tortora: “Disgustata dallo Stato. Quei magistrati sono stati promossi”
Lesse le carte giudiziarie, gli atti del procedimento, senza riprendere solo ciò che scrivevano gli altri. Nel libro ha espresso il disgusto vero lo Stato che “non si è fatto carico di questo tragico errore giudiziario, così come che i giudici che l’hanno perseguitato”. Quei magistrati infatti sono stati assolti in tutto le sedi ma non solo: sono stati anche promossi.
L’amato giornalista e conduttore riuscì a tornare in tv. Ma non passò neanche un anno e il 18 maggio 1988 morì, a 59 anni. Era malato e si era portato anche dentro quella “bomba atomica”, come lui la chiamava.
Allo domanda se quella vicenda contribuì alla sua morte, la figlia non rispondere con precisione. Di sicuro però “una cosa del genere ti trasforma“.
Il rifiuto del perdono
Infine svela che qualcuno ha provato a chiedere perdono per quanto fatto. Uno dei Pm del caso e uno di “quel cialtroni”, definito così perché per lei non merita neanche di essere chiamato pentito (l’accusa del padre nacque da un collaboratore di giustizia). Ma non c’è spazio per il perdono: “È gente in cerca di pubblicità, che qualcuno gli ha dato”.