Questo mese faremo un giro nel mondo del food and beverage nel quartiere Eur/Ostiense di Roma, da sempre molto ricco di proposte a 360°. Iniziamo raccontando la cultura e la tradizione culinaria cinese grazie allo chef Gianni Catani, che ci aspetta nel suo Dumpling Bar. Chi di noi ha mangiato, almeno una volta nella vita, in un ristorante cinese? Sono apparsi in Italia una trentina di anni fa e col passare degli anni si sono fatti sempre più spazio nel gusto degli italiani, in particolare dei più giovani. In parte perché rappresentavano una novità ed hanno portato sapori originali, in parte per i costi economici soprattutto con la formula “all you can eat”, spesso però a discapito della qualità.
Oggi, fortunatamente, possiamo trovare ristoranti cinesi di ottima qualità e molti di loro vengono definiti fusion, ovvero fondono la cucina orientale con ingredienti e preparazioni occidentali. Ancora pochi invece quelli che propongono la vera cucina tradizionale cinese come il Dumpling Barappunto. Gianni Catani è un vero appassionato e cultore della cucina tradizionale cinese, una cucina lontana ma affascinante, una cucina che spesso diviene anche filosofia di vita. Nel frattempo il Dumpling Bar è raddoppiato, infatti il 28 Maggio scorso è nato il Dumpling Bar Macerata, inoltre possiamo trovare i ravioli cinesi di chef Catani allo stadio Olimpico in occasione delle partite casalinghe della S.S.Lazio.
Buongiorno chef, quando nasce la sua passione per la cucina cinese?
Ci sono stati due eventi che mi hanno portato ad amare la cucina cinese. Il primo nel 1984, quando andai a New York con i miei genitori. Un giorno feci un giro di due ore da solo a Chinatown e ne rimasi affascinato, mi colpì il fatto di essere in una dimensione fuori dal tempo. L’altro evento è legato a mia madre che in passato ha avuto un’autoscuola e dove spesso i cinesi venivano bocciati, anche più volte. Quando, finalmente, venivano promossi organizzavano delle cene dove io andavo insieme a mia madre. Si svolgevano in un ristorante a due piani di cucina tradizionale cinese per cinesi.
In uno mangiavano gli italiani, nell’altro i cinesi ed io ero sempre con loro fino a quando mi portarono a vedere la cucina. Lì rimasi sconvolto ed iniziai ad appassionarmi a questa cucina. Sto scrivendo un libro sulla mia bizzarra storia legata alla cucina cinese dove racconto queste ed altre storie e i miei piccoli passi sino ad arrivare ad oggi affiancato dal Master chef cinese Jing Shan.
Cosa rappresenta per lei questa cucina?
Intanto rappresenta un sogno realizzato. Poi la conoscenza di una cultura, un viaggio costante tra sapori, odori e paesaggi che solo chi va lì può apprezzare. Il fascino di un popolo più che di una cucina. In Cina ci sono otto regioni, si passa dal mare ai 3000 metri di altitudine ed hanno più di un milione di ricette uniche!
Ci può raccontare qualche ingrediente o piatto della cucina tradizionale cinese?
Nel Sichuan, ad esempio, ci sono piatti molto piccanti dove sei tu che scegli il grado di piccantezza in una scala da 0 a 9. I cinesi amano molto le verdure, ma fanno anche un larghissimo uso del maiale. Io, per esempio, sono affascinato dall’anatra, l’ho mangiata sia a Pechino che a Nanchino che ne è la patria. Ci sono ristoranti che fanno fino a 35 piatti diversi a base di anatra ed a mangiarli si prova quasi un orgasmo. La particolarità sta soprattutto nella cottura che è un vero e proprio rito. L’anatra può cuocere fino a 12 ore in un forno con legno di ciliegio proveniente da alberi centenari, diventa tenerissima da sciogliersi in bocca.
Arriviamo ai suoi ravioli, segue ricette tradizionali o c’è anche qualcosa di suo?
Andando in Cina sono rimasto attratto dai ravioli fatti espressi, diversi a seconda delle regioni, e dagli spaghetti fatti a mano. I miei sogni erano aprire un ristorante specializzato in ravioli cinesi ed uno sugli spaghetti fatti a mano. Ci sono riuscito aprendo il Dumpling Bar ed il Lamian Bar, anche se al momento quest’ultimo è chiuso. Mi sono fatto aiutare dal miglior chef di ravioli Simone Tsang, uomo di Hong Kong da quarant’anni in Italia.
Abbiamo fatto tutta una serie di tipologie differenti di ravioli, tutte ricette originali cinesi usando però prodotti della filiera italiana ovviamente. Al sud della Cina fanno i ravioli al vapore, mentre a nord sono fatti al bollore, in questo caso la pasta è più spessa e sono tutti chiusi. Nello street food di Hong Kong c’è un campionario infinito di questi ravioli e noi ne abbiamo riprodotti molti, abbiamo almeno una cinquantina di tipologie che alterniamo periodicamente. Noi siamo stati i primi in Italia ad aprire questo tipo di locale e sono stato copiato addirittura dai cinesi stessi.
E’ vero che i cinesi, in realtà, non mangiano troppo spesso i ravioli?
E’ verissimo! In Cina ci sono posti specializzati, ma loro li considerano un piatto pesante e nelle loro case li fanno una/due volta al mese. Il raviolo è soprattutto un rito di Capodanno, tutta la famiglia si riunisce intorno al tavolo per farli, in uno di questi viene messo un soldo d’oro all’interno e chi lo trova, secondo la tradizione, diventa ricco.
Che risposta ha avuto dai romani? Hanno imparato ad apprezzare una cucina cinese diversa da quella a cui siamo abituati?
Hanno risposto in maniera inaspettata. All’inizio non riuscivamo a gestire alcune situazioni per quanta gente c’era in fila fuori il ristorante, un successo enorme! Ancora oggi la risposta è importante anche se ne sono nati altri a Roma simili a noi, probabilmente veniamo scelti anche per la nostra storia, per la presenza del Maestro Jing al mio fianco. Inoltre curiamo molto il cliente, lo coccoliamo, passiamo tra i tavoli e raccontiamo la storia di questa cucina.
Qual è il suo obiettivo in merito alla cucina tradizionale cinese in Italia?
L’esplosione della pandemia dovuta al Covid ci ha costretto a percorrere strade diverse, è nata l’idea di cuocere i ravioli al 70% per poterli poi esportare e questo ci ha aiutato molto, tanto da trasformarlo in un business vero e proprio. Collaboriamo con molti ristoranti in tutta Italia. Siamo arrivati ad esportare non solo ravioli ma un menù completo, ai ristoranti basta una grossa vaporiera dove completare la cottura. Questo ci permette di arrivare ovunque! Se prima il sogno era di aprire tanti ristoranti, ora invece cerchiamo di fornire altri ristoranti che ovviamente ci devono rappresentare, devono amare questa cucina, devono avere la nostra filosofia. Un nostro uomo di fiducia li controlla e li addestra in cucina, diventando così una sorta di franchising familiare.
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