ROMA – Stesso angolo di porta, sotto Curva Nord, dove andava da bambino a vedere Nesta e la Lazio da scudetto, accompagnato da papà Giulio. Nove anni dopo la prima e unica volta, Alessio Romagnoli ha fatto centro all’Olimpico. Una storia da romanzo, risalendo sino al debutto da titolare in Serie A, datato 3 marzo 2013. Aurelio Andreazzoli sulla panchina della Roma, 3-1 al Genoa, suo il gol del raddoppio. Calcio d’angolo di Totti, colpo di testa del difensore classe ‘95, nato ad Anzio e cresciuto a Nettuno, scoperto da Bruno Conti, sbocciato nel vivaio di Trigoria, laziale sino al midollo. Palla nello stesso angolo indovinato domenica, con un sinistro in mezza rovesciata dal limite dell’area, per il 2-0 allo Spezia. Il tempo corre alla medesima velocità raggiunta per andare a festeggiare, inseguito da Cataldi, come nei sogni del bambino che gli sono tornati in mente e gli hanno fatto scendere qualche lacrima durante le interviste.
Destino
Ci eravamo fermati alla notte del 28 febbraio 2018, quinto e ultimo rigore della serie nella semifinale di ritorno di Coppa Italia tra Lazio e Milan. Romagnoli segna, sotto la Curva Nord, e non festeggia, mentre sull’Olimpico cala il silenzio. Gattuso in finale. Simone Inzaghi eliminato. «La non esultanza è la più grande manifestazione di rispetto nei confronti dei miei ideali e della mia fede – ha raccontato in estate – Ogni volta in cui giocavo contro la Lazio all’Olimpico, entrando in campo, ero abituato ad abbassarmi la felpa sulle labbra e cantare l’inno “Vola Lazio, vola”». Quella sera, senza rendersene conto, cominciò a diventare un idolo della Nord. Un predestinato. Il desiderio era così forte da spingerlo a chiacchierare più volte con Tare, come è stato svelato a luglio. Facevano il conto alla rovescia alla scadenza del contratto a ogni incrocio tra Milan e Lazio. «Meno due anni». «Meno uno». «Meno sei mesi». Sino alla firma di metà luglio, quando ha trovato l’intesa con Lotito formalizzando una trattativa complessa. «Mi auguravo che la mia idea potesse diventare realtà. Ho sempre dichiarato che mi sarebbe piaciuto giocare nella Lazio, ma non volevo andare troppo avanti con gli anni. Era questo il momento giusto». Decisivo il pressing telefonico esercitato da Ciro Immobile e Danilo Cataldi. Alle Baleari, in vacanza, aveva incontrato Patric, cominciando a stabilire un’intesa che poi si sarebbe riversata sul campo. Questa Lazio sorprende e impressiona perché esprime senso di appartenenza, spirito e compattezza. Non solo un tandem difensivo di rara intelligenza calcistica e con qualità di palleggio superiori alla media.
Postura
La voglia di rilancio e il progetto affidato a Sarri hanno fatto il resto. A 27 anni per l’ex capitano del Milan si trattava di un passaggio determinante in carriera. Oltre alla fede, alle ragioni del cuore, servivano garanzie tecniche e ambizioni Champions. Alessio sapeva di trovare un sistema di gioco adatto alle caratteristiche di regista arretrato. Giampaolo, uno dei suoi allenatori in rossonero, applica gli stessi principi. «Conoscevo già le idee di Sarri, ero sicuro che mi avrebbero favorito» ha confermato domenica. La palla come riferimento. Alessio tira su la linea, non sbaglia i tempi di uscita. Precisione nei passaggi. Eccelle anche di testa. E’ secondo, in casa Lazio, soltanto a Milinkovic: 28 duelli aerei, vincendone 16. Con il serbo, peraltro, dividono lo stesso angolo di spogliatoio: armadietti confinanti a Formello, dove raccontano la cura maniacale di Alessio per la messa a punto del motore. Esercizi posturali, lunghe sedute di massaggi prima e dopo ogni allenamento o partita. Sarri e lo staff lo stanno gestendo con accortezza e un occhio speciale. Turnover obbligatorio per evitare sovraccarichi muscolari. Alessio ha concluso le vacanze estive in Sardegna lavorando privatamente con un osteopata di fiducia. Veniva dalla pubalgia e voleva farsi trovare prontissimo dalla Lazio. Missione compiuta.
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