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L’Antimafia e quelle quattro “obbedienze” oggetto d’indagine

L’indagine svolta dalla Commissione, così come più volte ribadito dai membri dell’organo parlamentare nel corso delle varie audizioni dei gran maestri delle quattro obbedienze, non riguarda la massoneria come fenomeno associativo in sé, quanto piuttosto la mafia e le sue infiltrazioni nelle associazioni di tipo massonico in Sicilia e Calabria

Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni e curato insieme a Francesco Trotta. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Questa serie pubblicherà ampi stralci della relazione della Commissione parlamentare Antimafia della XVII Legislatura, presieduta da Rosy Bindi per capire di più il ruolo delle logge massoniche negli eventi più sanguinari della storia repubblicana.


Prima di addentrarsi nell’analisi delle risultanze dell’inchiesta parlamentare occorre preliminarmente evidenziarne i suoi obiettivi e, dunque, i suoi correlati limiti intrinseci ed estrinseci.

Preliminarmente, e a chiarimento di ogni possibile equivoco, va ancora una volta sottolineato che l’indagine svolta dalla Commissione, così come più volte ribadito dai membri dell’organo parlamentare nel corso delle varie audizioni dei gran maestri delle quattro obbedienze, non riguarda la massoneria come fenomeno associativo in sé, quanto piuttosto la mafia e le sue infiltrazioni nelle associazioni di tipo massonico in Sicilia e Calabria.

Il tema dell’indagine, del resto, è in linea con quello di altre inchieste svolte dalla Commissione, incentrate sull’aspetto relazionale delle mafie con tutti i soggetti del mondo politico, imprenditoriale e sociale, sotto i profili del livello di infiltrazione e condizionamento, di consapevolezza dei conseguenti rischi, del valore generale di quanto rilevato nell’ottica di una più mirata produzione legislativa.

Tale approccio, in coerenza con il mandato e con le finalità della Commissione d’inchiesta, è stato sempre tenuto ben presente in tutte le fasi dell’indagine ed ha inciso sulle modalità di accertamento e sul perimetro della medesima.

Già con riferimento alla mafia, protagonista di questa investigazione, l’inchiesta è stata delimitata da due diverse considerazioni.

La prima. Poiché, già da tempo immemorabile, la questione dell’infiltrazione della mafia nella massoneria ha costituito oggetto di procedimenti penali e di relazioni di precedenti Commissioni parlamentari, non si è inteso inutilmente “scoprire” quanto già può ritenersi conosciuto e notorio alla collettività, bensì si è voluto comprendere, attualizzando quei rapporti, quali fossero i meccanismi che consentono o facilitano l’infiltrazione mafiosa nella massoneria e ciò, in ultima analisi, per indicare i possibili rimedi, anche di natura legislativa, idonei ad impedire, o quanto meno arginare, il fenomeno.

La seconda. Non potendo ragionevolmente svolgersi verifiche su tutte le mafie operanti sul territorio nazionale, e dunque, sulle relative associazioni massoniche di eventuale riferimento, l’analisi delle infiltrazioni è stata delimitata alle associazioni mafiose operanti in Calabria e in Sicilia, regioni queste che, di recente, sono state interessate, come detto, da diverse inchieste giudiziarie sull’argomento.

Con riguardo alla massoneria, che in questa inchiesta è il termine di riferimento della mafia, si è ritenuto di individuare, a campione, quattro obbedienze – il Grande Oriente d’Italia – Palazzo Giustiniani (Goi), la Gran Loggia Regolare d’Italia (Glri), la Gran Loggia d’Italia degli Antichi Liberi Accettati Muratori (Ggli) e la Serenissima Gran Loggia d’Italia – Ordine Generale degli Antichi Liberi Accettati Muratori (Sgli o “ Serenissima” ) – tramite le quali potere acquisire quelle necessarie basi informative sul funzionamento delle associazioni massoniche, utili per comprendere gli eventuali elementi di fragilità di queste ultime strumentalizzate dalla mafia.

Di conseguenza, essendosi osservate solo quattro obbedienze rispetto all’ampia galassia di associazioni massoniche di varia natura presenti nelle due regioni, si è ottenuta una prospettiva parziale del loro atteggiarsi che, per quanto di rilievo, non può ritenersi rappresentativa di tutta la massoneria italiana.

Pertanto, va precisato sin d’ora, che il termine massoneria, che sarà necessariamente utilizzato in modo generico nelle pagine successive, non vuole né può riferirsi alla massoneria complessivamente intesa ma solo a quelle associazioni di tipo massonico che presentino talune peculiari caratteristiche che, insieme considerate, possano risolversi nell’agevolazione dell’accesso mafioso.

Ancora, tale prospettiva è altresì parziale rispetto alle stesse quattro obbedienze posto che, avendo privilegiato solo gli accadimenti relativi ai territori calabresi e siciliani, non si sono considerati quelli riguardanti altre regioni. Anzi, nella scrupolosa osservanza dei decreti di sequestro del 1° marzo 2017 – riguardanti solo gli iscritti alle logge calabresi e siciliane delle quattro obbedienze, una certa tipologia di atti, e un determinato arco temporale – il materiale acquisito è stato attentamente selezionato assicurando il contraddittorio tra le parti, nonché tempestivamente restituito agli aventi diritto, per trattenere agli atti della Commissione indicato nei citati provvedimenti.

Limiti dell’indagine parlamentare

Inoltre, trattandosi di un’indagine sulla mafia, la Commissione, nell’approfondire la composizione degli appartenenti alle quattro citate obbedienze, effettuato verifiche a tal fine mirate, grazie alla collaborazione con la Dna e alla consultazione del suo sistema informativo. Sono state pertanto rilevate esclusivamente le ricorrenze giudiziarie relative ai reati di cui all’art. 51, comma 3- bis c.p.p. e, in particolare, i delitti di cui all’art. 416-bis del c.p. e quelli aggravati dall’art. 7 del decreto legge 13 maggio 1991, n. 152, convertito nella legge 12 luglio 1991, n. 203, tralasciando le altre fattispecie di reato, seppure altrettanto gravi o, addirittura, possibilmente indicative di rapporti mafiosi.

Sempre per le medesime ragioni, la Commissione non ravvisa la sussistenza di un interesse pubblico alla rivelazione dell’identità dei singoli iscritti alla massoneria in quanto tali, dei quali, pertanto, va rispettata la privacy mantenendo, anche sotto tale profilo, il regime di segretezza già imposto alle liste degli appartenenti nel corso dell’inchiesta.

Eventuali nominativi che saranno indicati nel corso della relazione riguardano soltanto quelli di soggetti che pubblicamente hanno dichiarato la loro iscrizione alla massoneria o le cui vicende, collegate alla loro appartenenza massonica, possono ritenersi notorie.

Non verranno nemmeno rivelate le generalità di coloro per i quali potrebbero trarsi elementi di responsabilità giuridica posto che le funzioni della Commissione parlamentare di inchiesta, espressione ope costitutionis del potere legislativo, non possono che essere finalizzate ad acquisire elementi di conoscenza propedeutici all’esercizio della legislazione e, pertanto, non consentono di accertare e perseguire condotte individuali, compito questo rimesso alla magistratura.

Tuttavia, nello spirito di collaborazione istituzionale, la Commissione corrisponderà alle richieste dell’Autorità giudiziaria pervenute in ordine alla propria attività istruttoria, anche con riferimento al sequestro degli elenchi. Del resto, l’esistenza del conseguente segreto investigativo ne impedirà, parimenti, la loro divulgazione.

È, infine, opportuno evidenziare che, accanto al suindicato perimetro degli accertamenti, il compendio informatico e cartaceo sequestrato è caratterizzato da altri limiti probatori dei quali non si può non tenere conto nella valutazione delle risultanze.

Procedendosi nei confronti della mafia e non della massoneria, le perquisizioni sono state eseguite esclusivamente presso le sedi ufficiali delle quattro obbedienze ed in epoca successiva alle diverse e pubbliche sollecitazioni ai gran maestri di consegnare gli elenchi. Non può pertanto escludersi a priori né che altra documentazione potesse essere conservata altrove né che parte di quella custodita nelle sedi ufficiali sia stata spostata prima dell’esecuzione dei suddetti decreti.

Va ancora segnalato che il materiale informatico in sequestro consiste, nella sostanza, in milioni di file la cui completa analisi richiederebbe l’impiego di un rilevante arco di tempo, incompatibile con la durata della legislatura. Pertanto i risultati che saranno illustrati, se possono ritenersi singolarmente verificati e approfonditi, devono però considerarsi parziali nel senso che non rispecchiano l’intero compendio in sequestro.

L’insieme delle risultanze oggetto della presente relazione, dunque, non ha potuto che essere coerente sia con gli obiettivi perseguiti sia con i limiti suddetti.

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