ROMA – Ha stracciato Inzaghi e Pioli all’Olimpico, ha centrato una doppietta con Mourinho nel derby, ha gelato Spalletti al Maradona e piegato Gasperini a Bergamo. Gli manca Max per piazzare l’en plein. Sarri non batte la Juve dal 22 aprile 2018, quando il gol di Koulibaly gli permise di sbancare l’Allianz e di sognare lo scudetto lasciato… in albergo (parole sue) a Firenze una settimana dopo. Da allora Chelsea, una stagione sulla panchina della Signora, e l’esperienza alla Lazio. Quattro precedenti, compresa Coppa Italia: tre sconfitte e un pareggio, 2-2 nel ritorno della passata stagione, quando timbrò il quinto posto e la qualificazione al girone di Europa League.
All’andata
Ora Sarri corre per la Champions e la squadra biancoceleste, nei confronti diretti, non lo ha quasi mai deluso: 3-1 all’Inter e 4-0 al Milan (in attesa delle partite di ritorno a San Siro tra il 30 aprile e il 7 maggio), doppio 1-0 alla Roma (l’ultima doppietta era stata firmata da Reja nel 2011/12), 1-2 con il Napoli all’Olimpico e 1-0 al vecchio San Paolo, 2-0 fuori casa con l’Atalanta ricambiato da Gasp all’Olimpico. E ora la resa dei conti con la Juve, che il 13 novembre si era imposta 3-0, doppietta di Kean e sigillo di Milik. Non era la vera Lazio. Mancavano Lazzari, Immobile e Zaccagni. Luis Alberto aveva chiesto la cessione al Cadice, Milinkovic e Vecino con le valigie pronte per volare in Qatar. Era una squadra sgonfia, scarica, bisognosa di riposo e di staccare la spina. Kostic imprendibile sulla fascia sinistra. Allegri aveva appena trovato la via del 3-5-2.
Passato
Mau, come spesso succede, è rimasto in silenzio. Niente conferenza stampa. Non gli piace parlare. Questa volta, di fronte alla Signora, ancora meno. L’inchiesta legata al rapporto controverso tra Lazio e Salernitana non c’entra, ma ha costituito un alibi supplementare per evitare i microfoni. La verità è che in certe occasioni gli pesa perdere energia, spostando il focus dal campo. Sarebbe riemerso il suo passato, doloroso. La Juve, anche se non lo confesserà mai apertamente, è una ferita aperta nonostante abbia vinto uno scudetto. Come ha ricordato, tutti a cena a casa propria, neppure venne festeggiato: era il nono consecutivo. L’eliminazione in Champions con il Lione, sei giorni dopo, gli costò l’esonero.
Motivazioni
L’allenatore in tuta non piaceva alla nobiltà sabauda. Lo hanno dipinto e descritto in ogni modo. Persino il suo cugino di Montespertoli (pare sia una goccia d’acqua tanta è la somiglianza) gli aveva sconsigliato la Juve. Mau volle provarci e mettersi alla prova, era la sfida più affascinante in carriera, non gli è mai andato giù il modo in cui è finita. Ha vinto nonostante la polmonite in estate, le ritrosie di Chiellini e Bonucci a sposare il suo calcio, la mancanza di acquisti congeniali e l’impossibilità di allenare come desidera. La classifica, dopo lo stop dell’Inter, suggerisce prudenza. Per la Lazio conta non perdere, ma sarebbe meglio vincere. Sono tanti imotivi per cui stasera, se riuscisse a impartire una lezione di calcio alla Juve, Mau godrebbe come un riccio.
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