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Marina Abramovic. Il corpo e l’anima raccontati attraverso l’arte

Racchiudere l’arte in una semplice definizione è praticamente impossibile perché è qualcosa in continua evoluzione che cambia con il mutare del tempo, delle situazioni e degli stessi artisti. L’arte, infatti è l’espressione più intima di sé stessi e i pittori o gli scultori ogni volta che realizzano un’opera donano un piccolo pezzo della loro anima, ma a volte non basta.

La necessità impellente di dover comunicare qualcosa attraverso il loro lavoro in alcuni casi ha reso insufficiente persino la tela o un pezzo di marmo, e ha spinto gli artisti ad andare oltre utilizzando il corpo. È proprio questa esigenza che ha fatto nascere la performance art, la cui massima interprete è Marina Abramovic.

L’artista con le sue esibizioni non ha solo creato qualcosa di unico, ma ha utilizzato il suo corpo come veicolo per comunicare in modo profondo e irripetibile con il pubblico.

L’infanzia di Marina e i primi contatti con l’arte

Stimolante e a volte difficile, questo è l’ambiente in cui Marina Abramovic nasce il 30 novembre del 1946 a Belgrado. I genitori sono partigiani e sostenitori dell’esercito comunista di Tito, ma fino ai sei anni, quando nasce il fratello vive insieme alla nonna. Una donna religiosa e rigida che indirizza la sua educazione scolastica, a cui Marina reagisce interessandosi sempre di più alla pittura. Tornata a vivere con i genitori la sua passione per l’arte trova ampio consenso sia da parte del padre che le regala la sua prima scatola di colori, sia da parte della madre che, diventata direttrice del Museo della Rivoluzione e dell’Arte di Belgrado, la incoraggia in questa direzione.

Il sostegno della famiglia la spinge a iscriversi all’Accademia di Belle Arti di Belgrado per studiare pittura e in cui si laurea nel 1970. Questa esperienza sarà fondamentale per la sua formazione, perché capisce che l’arte non si ferma alla tela, ma va oltre e può essere rappresentata anche con il corpo. La curiosità e la voglia di indagare fanno parte di Marina che decide di iscriversi al corso post laurea all’Accademia di Belle Arti di Zagabria. Da questa scuola ne esce nel 1972 con una convinzione: il corpo è il veicolo perfetto per esplorare le sfaccettature dell’arte e ottenere un rapporto profondo e spirituale con gli spettatori.

Le prime performance in Croazia

Proprio in Croazia inizia la sua carriera dividendosi tra una madre sempre più rigida che vuole il totale controllo sulla sua vita e la voglia di sperimentare. Anche i coprifuoco imposti dalla stessa madre che la costringe a rincasare entro le dieci di sera non placano la sua sete artistica. Sono gli anni in cui sperimenta a volte mettendo in pericolo sé stessa.

Per Marina il corpo è semplicemente un mezzo per mettere in scena il concetto di come l’arte porti con sé una trasformazione emotiva e spirituale. Non ha paura di osare come quando decide di assumere farmaci che le provocano convulsioni, o come quando usa il suo corpo nudo come una tela incidendo una stella di David sulla sua pelle sanguinante. Pur essendo profonde e cariche di significato, le sue performance danno scandalo per la nudità spesso esibita e per la pericolosità, per questo decide di lasciare la Croazia.

L’amore travolgente e la collaborazione con Ulay

Libera ed emancipata, Marina decide di trasferirsi ad Amsterdam perché è una città aperta in cui poter esprimere al meglio la sua arte. Non è solo il luogo in cui coltivare la propria passione, ma anche il posto in cui incontra l’amore della sua vita: Ulay, un artista tedesco. Il sentimento che prova per l’uomo è totalizzante tanto da spingerla nel 1976 a separarsi dal marito Neša Paripović, un artista concettuale serbo a cui era legata dal 1971.

Quello tra Marina e Ulay è un legame profondo non solo dal punto di vista privato, ma anche lavorativo. I due collaborano e si esibiscono insieme nelle loro performance in giro per il mondo. La più famosa e forse la più dolorosa per Marina è “The great wall walk” quando dice addio al suo amore più puro. I due decidono di percorrere la Grande Muraglia cinese da lati opposti per poi incontrarsi nel mezzo, ma è qui che Ulay le dichiara di essersi innamorato della sua interprete da cui aspetta un figlio.

L’arte di Marina Abramovic dagli anni Novanta ad oggi

Dopo la separazione Marina continua la sua carriera dividendosi tra l’insegnamento e performance che lasciano il segno. Una di queste è quella alla Biennale di Venezia che le vale il Leone d’oro. È qui che per denunciare la guerra in ex Jugoslavia rimane seduta per ore su ossa di animali insanguinate che l’artista pulisce senza sosta per giorni e giorni. È un modo potente per denunciare le barbarie del conflitto nei Balcani.

Il talento di Marina Abramovic diventa ancora più implacabile di anno in anno, come dimostrato da “The artist is present”, la performance che ha avuto luogo al Moma di New York nel 2010. Per tre mesi, l’artista è rimasta seduta a un tavolo, di fronte a una sedia vuota in cui poteva sedersi chiunque per poi fissarsi negli occhi. Tra le 750 persone che hanno incrociato lo sguardo dell’artista c’è stato anche Ulay, esattamente 23 anni dopo che i due si erano lasciati: l’impassibilità di Marina non ha potuto far altro che lasciare spazio a una grande emozione.

La continua ricerca di forme d’arte in grado di stupire è il tratto distintivo di Marina Abramovic che la accompagnerà anche in quella che sarà probabilmente la sua ultima performance, un’opera che dovrebbe essere allestita il giorno del suo funerale. L’idea, rivoluzionaria e provocatoria, è quella di inviare tre bare nelle città che hanno avuto maggiore importanza nella vita dell’artista, Belgrado, Amsterdam e New York: soltanto in una di queste, però, sarà presente il corpo di Marina, ma nessuno lo saprà.

Questa ultima performance racchiude in sé, ancora più di quelle precedenti, il carattere e lo spirito che hanno sempre mosso Marina Abramovic e il ruolo centrale dell’arte nella sua vita. Quella stessa arte che ha significato e significherà sempre per lei tante sensazioni diverse, tutte da vivere prima che l’essenza dell’arte stessa sparisca.

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