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Omicidi di Natale. Petrillo (criminologa): «Convivenza forzata e solitudine risvegliano menti criminali»

La criminologa: «La maggior parte degli assassini non soffre di alcuna psicopatologia. Ma, laddove fosse presente, può manifestarsi in forma più acuta in momenti particolari dell’anno, come quelli delle festività natalizie. Ecco perché a Natale si sono consumati così tanti omicidi in poche ore. Il raptus non esiste: chi commette un delitto lo ha sempre precedentemente mentalizzato»

A Marinella di Selinunte, in provincia di Trapani, una donna di 29 anni è stata massacrata con dodici coltellate all’addome dal marito. A Bologna, una venticinquenne è stata colpita con delle forbici dall’ex compagno, davanti ai suoi tre figli minori: dopo un lungo intervento chirurgico, le sue condizioni sono stabili ma la prognosi è riservata.

A Patti, in provincia di Messina, un uomo di 39 anni ha accoltellato il fratello, dopo una lite per futili motivi ed è stato arrestato con l’accusa di tentato omicidio. Irma Forte, la donna rea confessa dell’omicidio del marito, avvenuto a Santa Maria del Molise, è agli arresti domiciliari in attesa di processo. Sono questi i delitti e i tentati omicidi che si sono consumati in meno di 24 ore tra la vigilia e il giorno di Natale.

Perché gli assassini agiscono a Natale

«Purtroppo, le festività natalizie possono amplificare stati depressivi o far esplodere la rabbia repressa – spiega Mary Petrillo psicologa e criminologa, docente di neuroscienze e criminologia, membro del consiglio direttivo dell’Associazione Sostenitori, collaboratori e testimoni di giustizia e redattore di Striscia L’Antimafia Slam -. Talvolta, la tradizione di riunirsi in famiglia può essere vissuta come una costrizione, un’oppressione dalla quale possono scaturire anche delle liti che, nel peggiore dei casi, degenerano in dei veri e propri atti criminali, fino all’omicidio».

I luoghi della violenza

La violenza può esplodere sia in contesti “insospettabili”, all’interno di famiglie dall’apparenza serena, che incrementarsi in quei luoghi dove è tutt’altro che una novità: «Pensiamo alle donne vittime di violenza domestica che, durante le festività natalizie, si ritrovano in casa con il proprio aguzzino 24 ore al giorno, senza la possibilità che esca per andare a lavoro e che loro stesse possano fare anche solo una passeggiata – racconta Petrillo -. Una convivenza obbligata che può, come dimostrato dai recenti fatti di cronaca, scatenare sia l’ira dell’uomo, che quella delle vittime (una donna di 29 anni è stata accoltellata dal marito, una venticinquenne dall’ex compagno, ma nel caso di Irma Forte è stata lei a ribellarsi alle violenze del marito, uccidendolo). In altri contesti – aggiunge la criminologa – il periodo natalizio è caratterizzato da un aumento della solitudine che, al pari della convivenza forzata, può risvegliare o innescare reazioni violente».

I criminali sono (quasi sempre) sani di mente

Una mente criminale non è necessariamente una mente malata. «La maggior parte degli assassini non soffre di alcuna psicopatologia – assicura Petrillo. Ma, laddove fosse presente, può manifestarsi in forma più acuta in momenti particolari dell’anno, come quelli delle festività natalizie, soprattutto per un’aumentata solitudine di questi soggetti, spesso completamente abbandonati a se stessi. Pur non esistendo una o più psicopatologie direttamente predisponenti a comportamenti criminali, una forte schizofrenia o patologie legate alla depressione potrebbero aumentarne il rischio, innescando comportamenti antisociali».

«Il raptus non esiste»

Che si tratti di persone che soffrono di psicopatologia o di soggetti totalmente capaci di intendere e di volere, può essere un raptus a scatenare l’istinto omicida? «Sono convinta che il raptus non esista, perché chi commette un omicidio lo ha sempre precedentemente mentalizzato – dice l’esperta -. Ovvero, lo ha immaginato almeno una volta prima di passare all’azione. Poi, possono esserci dei fattori ambientali scatenanti che lo inducono ad agire in un preciso momento o in un determinato posto, ma l’azione era stata già almeno immaginata, seppur – conclude la criminologa – in un tempo e in un luogo indefiniti».

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