Era già finita in tribunale per stalking e diffamazione la donna che ha rivelato a Fanpage di essere stata molestata dal senatore Matteo Richetti in un incontro negli uffici di fronte a Palazzo Madama il 16 novembre scorso, portando a supporto non una denuncia ma una serie di messaggi della cui paternità ancora non si ha certezza. A raccontarlo è Il Domani, che citando i legali del politico fa il nome di Ludovica Moiré Rovati, 42 anni, attrice e sceneggiatrice nonché presidente di un’associazione contro la violenza sulle donne (“Io non ci sto”). Sarebbe proprio lei, con voce camuffata e volto coperto, l’accusatrice che racconta in video le presunte violenze subite dal presidente di Azione.
Il quotidiano dà conto dei suoi trascorsi giudiziari, partendo dall’ultimo: dopo le denunce di Richetti era stata indagata dalla Procura di Roma, pm Alessia Natali, come possibile autrice dei messaggi anonimi dal tenore violento lasciati sui social del presidente di Azione. La sua posizione fu archiviata a maggio (richiesta cui Richetti non si è opposto), segno che evidentemente non erano emersi riscontri e collegamenti. Esistono però due precedenti giudiziari di cui Il Domani dà conto e che, stando al giornale, oltre alla mancanza di una denuncia per molestie, motiverebbe ulteriori motivi di prudenza.
Ludovica Rovati era già finita due volte in tribunale. Nel 2010 vi fu trascinata dall’ex fidanzato, il tennista Roberto Galimberti: la donna non avrebbe gradito la fine della relazione, girò allora un cd con immagini hard di lei con Galimberti dalla dubbia paternità. Anche Rovati aveva denunciato lui per stalking. Il giudice di pace condannò l’attrice in primo grado a pagare 600 euro di multa e 7mila euro di danni, ma nel 2016 in appello vinse lei: il tribunale la assolse perché “il fatto non sussiste”. Nel 2013, però, sempre Rovati finì al centro di un secondo procedimento: aveva denunciato l’ex fidanzato e un altro uomo accusandoli di averla stuprata nel garage di casa. Riferiva anche di un giro di stupefacenti. I giudici non le credettero e venne condannata per stalking. Lei fece ricorso e il procedimento venne prescritto, la donna – riferiscono gli avvocati – verserà 50mila euro alle parti civili che usciranno dal processo. Di fatto però restano tre assoluzioni nella fedina penale.
A questo punto sarà l’indagine che si è aperta per effetto della pubblicazione di Fanpage a far luce sull’autenticità dei messaggi compromettenti che la donna ha consegnato alla redazione, e che nella nota con cui Calenda ha fatto per primo il nome di Richetti venivano bollati come artefatti. Da dipanare anche l’esistenza o meno di altre donne che avrebbero subito molestie e comportamenti inopportuni. Fanpage ne avrebbe raccolto le testimonianze. Le stesse, probabilmente, raggiunte da altre testate compreso il Fatto. Che scelsero però di non pubblicare, perché non supportate da alcuna denuncia e perché, alla richiesta di fornire certezza dell’identità occultata da nickname, si dileguavano nel nulla.
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