Proclamato ieri in Corte d’Appello, insediato oggi col passaggio – molto caloroso – di consegne con il predecessore, Nello Musumeci, a Palermo, a Palazzo d’Orleans, sede del governo regionale. Inizia così l’era di Renato Schifani, l’ex presidente del Senato neo-eletto governatore della Regione siciliana, ancora imputato per rivelazione di segreto in uno dei filoni del processo a carico di Antonello Montante (l’ex presidente regionale di Confindustria condannato a otto anni in Appello per corruzione). Non a caso, forse, insediandosi Schifani loda quel Silvio Berlusconi “che ha governato il paese e che ha vissuto momenti difficili per aspetti giudiziari – che hanno avuto il loro esito e non entro nel merito -, conosco cosa significa governare in mancanza di serenità, anzi di preoccupazione, ho visto quell’uomo preoccuparsi di problemi dello Stato pur essendo oggetto di procedimenti. Quindi non mi lascerò mai intimorire o intimidire da certi personaggini che iniziano ad aleggiare prima ancora di iniziare. Dobbiamo concentrarci sul fare e non sul piccolo cabotaggio di chi ostacola la serenità”. E ricevendo il testimone da Musumeci promette “Onestà, trasparenza, confronto e decisione”.
Un passaggio che è andato ben oltre il garbo istituzionale: i due presidenti si sono scambiati i ruoli riempiendosi di complimenti reciproci e si sono perfino scambiati in regalo dei libri. “Il Futuro, storia di un’idea”, di autori vari, è il regalo del vecchio presidente al nuovo, mentre Schifani dona al predecessore – appena eletto senatore – “La Costituzione e la bellezza”, di Michele Ainis e Vittorio Sgarbi. A guardarli così, uno meloniano e l’altro berlusconiano, mentre si promettono continuità in nome della realizzazione di due termovalorizzatori, sembrerebbe un centrodestra in piena armonia, molto lontano dagli scossoni romani. La politica nazionale è menzionata da Musumeci solo per compiacersi del fatto che “le prime due cariche dello Stato sono entrambe ricoperte da siciliani”. Ma anche Schifani, dopo la proclamazione di giovedì, aveva sottolineato come fosse “una giornata importante” perché nello stesso giorno in cui lui era proclamato, La Russa veniva eletto presidente del Senato.
Eppure le vicende romane promettono ripercussioni anche sulla Sicilia. Sull’isola i forzisti potrebbero essere tentati da prove di forza nei confronti degli alleati per “vendicare” l’elezione del presidente del Senato, avvenuta senza i voti azzurri. A questo sembra mirare Gianfranco Micciché, il potente viceré berlusconiano che ancora non ha dichiarato se lascerà i banchi del Senato per restare in Sicilia oppure no. Dipenderà, con tutta probabilità, da come gli riusciranno le prossime mosse: non è di certo un mistero che miri a essere rieletto presidente dell’Assemblea regionale. Uno scranno che spetterebbe a Fratelli d’Italia, dopo l’elezione del forzista Schifani, ma il condizionale – visti gli ultimi sviluppi – adesso d’obbligo. Proprio in queste maglie potrebbe infilarsi Micciché, che non a caso aveva sottolineato: “La Russa presidente del Senato? Sarei favorevolissimo ma con un altro premier”. Invece Fratelli d’Italia avrà probabilmente sia la presidenza del Consiglio che quella di palazzo Madama, un jackpot che il forzista potrebbe provare a controbilanciare sull’isola.
Secondo indiscrezioni, infatti, Micciché può contare sui voti dei suoi fedelissimi, ma anche su alcuni consiglieri di Lega e Mpa. Un gruppo di almeno otto persone, che assieme ai voti dell’opposizione (trenta su settanta) potrebbe consegnargli la maggioranza necessaria per essere eletto. “Di certo le mosse di Micciché in Senato insieme a Ronzulli, ovvero il tentativo di fare saltare la partita di La Russa, mostrano come abbia l’avallo totale di Berlusconi”, ragiona un esperto di Ars nel centrodestra, presente al passaggio di testimone tra i due presidenti. Rinunciare alla presidenza sarebbe, d’altronde, un bello smacco per il forzista, che pur essendo riuscito a evitare la riconferma di Musumeci ha dovuto incassare la candidatura di Schifani, proposta a sua insaputa e subito accolta da Meloni e La Russa. Senza dubbio Schifani riceve il testimone da Musumeci trovandosi a navigare nel mare aperto di un centrodestra arrivato compatto al voto ma spaccato già dal giorno dopo. E non potendo neanche iniziare a lavorare: dopo il pasticcio nello spoglio, in 48 sezioni non ci sono ancora i risultati definitivi e “se nominassi gli assessori domani non farebbe alcuna differenza perché finché non si insedia l’assemblea non sarebbero legittimati”, ammette lui. Non il migliore degli inizi.
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