MANCHESTER (INGHILTERRA) – Anthony Martial all’attacco di José Mourinho. L’allenatore della Roma è finito nel mirino del 26enne attaccante francese, rientrato al Manchester United dal prestito al Siviglia e protagonista di un rapporto complicato con lo ‘Special One’ ai tempi in cui quest’ultimo era alla guida dei ‘Red Devils’.
Il numero di maglia
“Tutto è iniziato con la storia del numero di maglia“, ha detto Martial in un’intervista a ‘France Football’ riferendosi alla decisione di spogliarlo della numero 9 dello United dopo l’arrivo di Zlatan Ibrahimovic nel 2016. “Durante le vacanze – ha proseguito il francese – Mourinho mi ha mandato un messaggio per chiedermi se volevo passare al numero 11, spiegandomi che è fantastico perché è stato indossato da Ryan Giggs, una leggenda del club. Gli dico che ho il massimo rispetto per Giggs, ma preferisco tenere il 9. Quando sono tornato invece sotto il mio c’era il numero 11 e la storia non è finita bene, perché lui mi mancava di rispetto“.
L’arrivo di Sanchez
A Martial non sono andate poi giù le critiche di Mourinho, che lo accusò di essere un “ragazzo viziato” e di voler giocare come attaccante “per le ragioni sbagliate”. Un atteggiamento che ha infastidito il centravanti classe 1995: “Parlava di me sulla stampa, piccole frasi, un po’ come aveva fatto con Benzema al Real Madrid. Gli piacciono questi piccoli giochi, ma sa anche con chi farli. Sapeva che allora avevo 20 anni e che se avessi detto qualcosa sarei passato per il giovane irrispettoso. Così non ho detto niente, sarebbe stato inutile. Nella stagione successiva sono stato il migliore della squadra nella prima parte della stagione, ma lui ha portato Alexis Sanchez e da lì non ho giocato quasi più”.
L’accusa a Solskjaer
Frecciate anche per Solskjaer, successore di Mourinho sulla panchina dello United che Martial accusa di “tradimento” per non averlo difeso dalle critiche nel periodo in cui giocava da infortunato: “La gente non lo sa ma nei quattro mesi successivi alla stagione del Covid mi sono sacrificato, perché l’allenatore mi aveva detto che aveva bisogno di me. Non è stato facile e lui non si è mai preso la briga di dirlo, ovviamente alla fine mi sono infortunato definitivamente e quando sono tornato non giocavo più. L’ho presa molto male e ho provato un senso di ingiustizia, ti viene chiesto di sacrificarti per la squadra e dietro le quinte vieni licenziato. Per me è quasi un tradimento. Questo è tutto ciò che odio. Posso essere biasimato, ma non per essere falso”.
Iscriviti al Fantacampionato del Corriere dello Sport: Mister Calcio CUP