Si parla spesso di pazienti “fragili”, quando si fa riferimento all’infezione da virus Sars-CoV-2. E a volte ci si dimentica dell’importanza di inserire in questa popolazione anche chi soffre di insufficienza renale, o meglio malattia renale cronica, soprattutto se in fase avanzata. Come ricordano gli esperti della Società Italiana di Nefrologia (SIN), in occasione del congresso, ci vuole parecchia attenzione proprio a questa popolazione. Soprattutto se è in dialisi. Come riporta un’indagine condotta dalla stessa SIN, fra i dializzati si è registrata una mortalità dieci volte superiore a quella a oggi stimata nella popolazione generale durante la seconda fase della pandemia (26% vs 2,4%).
I pazienti in trattamento dialitico e i portatori di un trapianto renale si sono dimostrati non solo più suscettibili a contrarre l’infezione da Covid-19, ma, cosa ancora più rilevante, quando infettati hanno un rischio di morire molto più elevato rispetto alla popolazione generale.
Così il vaccino ci difende
Insomma: chi segue un trattamento di dialisi deve essere considerato a rischio. E non solo perché potenzialmente più a rischio di sviluppare problematiche diverse in caso di Covid-19, ma anche per la specifica fragilità a causa delle numerose malattie di altri organi associate alla loro patologia renale, con conseguente aumento del rischio di mortalità in caso si ammalino di Covid-19. Non va poi dimenticato che i pazienti in dialisi cronica, inoltre, devono recarsi tre volte a settimana nel centro dialisi, in ambienti dove sono presenti numerosi altri pazienti, con un’esposizione al contagio evidentemente maggiore rispetto alla media.
L’inserimento dei soggetti dializzati nei programmi di priorità vaccinale ha permesso alla SIN di avviare uno studio di coorte per monitorare lo stato di salute dei pazienti nefrologici che riceveranno i vaccini anti-Covid. Le analisi preliminari dei dati raccolti indicano che la vaccinazione nei pazienti in dialisi ha determinato una netta riduzione delle conseguenze più gravi dell’infezione (ospedalizzazione e/o decesso).
Sebbene la variante Omicron abbia determinato una crescita globale delle infezioni e relativa impennata del numero dei casi nei pazienti con malattia renale cronica in dialisi, l’impatto clinico – così come nella popolazione generale – è stato più modesto in termini di ospedalizzazioni e mortalità. Nella popolazione dei dializzati, si è passati da una mortalità del 40% nella prima fase del Covid-19 a una mortalità inferiore al 5%; una discrepanza importante che, sebbene possa in parte dipendere da una ridotta patogenicità delle ultime varianti del virus, è in gran parte spiegata dall’indubitabile efficacia della vaccinazione.
La tecnologia per la dialisi “ad personam”
Dagli esperti della Società Italiana di Nefrologia emerge anche un altro aspetto. La tecnologia sta rivoluzionando la vita dei pazienti con malattia renale cronica: già oggi in alcune regioni – tra cui Lombardia, Piemonte e Puglia – è possibile eseguire il trattamento dialitico “da remoto”.
Si tratta di esperienze pionieristiche che rispondono ai bisogni concreti di questi pazienti estremamente fragili, costretti a muoversi dal proprio domicilio anche tre volte a settimana, con un impatto importante sulla spesa sanitaria e sulla qualità di vita. “Circa il 20% dei trattamenti dialitici – spiega Piergiorgio Messa, Presidente della Società Italiana di Nefrologia (SIN), già Direttore di Unità Operativa Complessa di Nefrologia, Dialisi e Trapianto Renale – Policlinico di Milano e Professore Ordinario di Nefrologia all’Università degli Studi di Milano – potrebbe essere gestito a distanza (dialisi domiciliare), mentre resta un 70/80% di dialisi extracorporea che prevede la presenza di un infermiere o di un caregiver che abbia fatto un addestramento congruo (che va dai 3 ai 6 mesi).
La dialisi peritoneale costituisce la vera sfida dei prossimi anni in termini di terapia sostitutiva, essendo la tecnica che ha più radicamento sul territorio e maggiori possibilità di conduzione con tecniche di telemedicina e video-dialisi”.
Prestiamo attenzione al rene
Il rene è un organo molto sensibile, e quindi si può ammalare facilmente risentendo di patologie che interessano l’intero organismo come il diabete oppure diventando sede di infezioni. Quando però si instaura una malattia cronica come l’ipertensione, lo stesso diabete oppure gravi quadri di aterosclerosi a carico delle arterie che portano il sangue ai reni e attraverso questi organi oppure un’infezione crea un danno tale da non poter essere riassorbito, si può andare verso l’insufficienza renale.
Questa condizione patologica comporta un progressivo calo dell’attività del rene, che non è più in grado di “depurare” il sangue e di assicurare i normali meccanismi di controllo dei liquidi del corpo, producendo quindi urine che non rispondono alle reali necessità dell’organismo, perché troppo o poco concentrate. Negli anni l’insufficienza renale che inizialmente non dà alcun disturbo comincia a dare segni della sua presenza.
Uno dei primi sintomi può essere l’incremento della quantità di urina, legata alla sua scarsa concentrazione, che induce il bisogno di alzarsi più volte durante la notte. Oppure cala di molto la quantità di urina prodotta nelle 24 ore, che arriva a scendere fino al mezzo litro al giorno. O ancora il colore dell’urina si fa più scuro, indice di possibile perdita di sangue. Oppure una forte stanchezza, accompagnata da prurito e inappetenza. Infine, se il rene perde in maniera significativa la sua capacità di rispondere alle richieste del corpo si possono manifestare gonfiori (i cosiddetti edemi) localizzati soprattutto alle gambe, e legati all’impossibilità da parte dei reni di eliminare i liquidi in eccesso.
Per lo stesso motivo si può manifestare una disidratazione. Infatti se il rene è malato non è in grado di ridurre la produzione di urina quando si suda molto o si è vittime di una forte diarrea, con il risultato che al corpo vengono a mancare sali minerali fondamentali. Quando la situazione tende ad aggravarsi ulteriormente, poi, il rene stesso modifica la sua struttura diventando più piccolo, quasi rattrappito. Si tratta della fase in cui si parla di “rene grinzo”, e in cui le varie componenti del rene non sono più in grado di filtrare correttamente il sangue.
Prende quindi il via la fase più drammatica dell’insufficienza renale con accumulo di sostanze tossiche oppure solo nocive nell’organismo, capaci comunque di danneggiare pesantemente il corpo. Comincia così la fase dell’uremia, definibile come una sorta di intossicazione generalizzata dell’organismo.