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Salute mentale, Bondi (SIP): «Sempre più disagio ma meno operatori. Sbagliato dare bonus a pioggia»

«Il bonus psicologo è come il monopattino ai tempi del Covid. Posso comprendere la logica che ha portato alla sua introduzione ma serve una valutazione preliminare per capire chi ne ha bisogno». Emi Bondi, Direttore dell’Unità di Psichiatria I dell’Ospedale Giovanni XXIII e nuova presidente della Società Italiana di Psichiatria, in un lungo colloquio con Sanità Informazione commenta i dati dell’ultimo Rapporto Salute Mentale del Ministero della Salute riferito all’anno 2021 e non nasconde le criticità di un settore sempre meno finanziato dallo Stato.

«Oggi riusciamo a far fronte alle malattie psichiatriche più gravi ma siamo in difficoltà su ansia e depressione, malattie che tuttavia registrano l’incidenza maggiore» spiega la presidente, che lamenta il costante calo del numero di operatori: «La percentuale di medici è scesa dal 18 al 17%. Continua questa emorragia iniziata nel 2010 con il blocco del turn over e la riduzione degli organici, ora siamo ai minimi termini». Preoccupante, per Bondi, le poche risorse destinate alla salute mentale: «Era stato stabilito dovesse essere il 5% della spesa sanitaria, invece siamo intorno al 3,5% e siamo anche scesi nel 2009 al 2,9%. Si continua a spendere sempre di meno ma intanto il disagio aumenta».

In merito ai sempre più frequenti episodi di violenza Bondi sottolinea che questi non vanno associati alla malattia psichiatrica: «I pazienti psichiatrici non commettono più reati delle persone normali, lo dicono le statistiche internazionali e i dati epidemiologici. Diverso è il caso in cui la malattia psichiatrica si associa all’uso di sostanze. Queste persone vanno seguite con molta attenzione perché sono più pericolose per sé stesse e per gli altri».

Presidente, si aspettava questi dati dal Rapporto annuale sulla Salute Mentale?

«Non c’è molto di nuovo. Stanno progressivamente risalendo le prestazioni perché il report precedente era riferito al 2020, un anno che con il Covid era stato anomalo come numero di prestazioni erogate nei servizi di salute mentale. Durante il lockdown erano crollati anche gli accessi al Pronto soccorso. Il Covid ha messo in evidenza tutti i limiti e le carenze che c’erano. C’è stata, dunque, una ripresa delle prestazioni ma non si sono ancora raggiunti i valori del 2019 pre-pandemia. Il numero delle prestazioni non è cambiato nell’incidenza delle patologie che trattiamo. Sono diminuiti i posti letto e i servizi di salute mentale e infatti anche qui in Lombardia hanno chiuso cinque SPDC – Servizi Psichiatrici Diagnosi e Cura e altre strutture per la carenza di personale».

La nota dolente è il capitale umano ma forse c’è un problema anche nei servizi territoriali, che non riescono a fare da filtro…

«Quando noi andiamo a guardare le prestazioni vediamo che il 40% delle attività in un servizio territoriale sono la schizofrenia e le psicosi più gravi che hanno una incidenza sulla popolazione dell’uno per mille a differenza della depressione che ha una incidenza sulla popolazione dell’8-9% ma che ci impegna meno. Il che significa che noi chiaramente non siamo in grado di intercettare quel bisogno di salute mentale diffuso che c’è nella popolazione generale. Continuiamo a curare, anche se con sempre più fatica, le patologie più gravi. Eppure, la depressione è la prima causa a livello mondiale di perdita di giornate di lavoro e ha costi sociali non indifferenti. Il Covid ha aumentato questa tipologia di utenza e l’incidenza di depressione e disturbi d’ansia è aumentata del 30%. Si tratta però di patologie che dovrebbero essere gestite a livello ambulatoriale territoriale. I numeri dicono che la percentuale di medici è scesa dal 18 al 17%. Continua questa emorragia partita nel 2010 con il blocco del turn over e la riduzione di organico. Adesso siamo ai minimi termini».

Quanto pesa la carenza di personale?

«All’interno dei servizi il numero di psicoterapie è molto basso, il 6% e non è previsto che siano incrementate le figure degli psicologi all’interno dei servizi territoriali».

La riforma della medicina territoriale può aiutare in questo senso?

«Ma non serve uno psicologo isolato nelle case di Comunità. È il servizio che deve essere incluso. Le Case di Comunità devono poter offrire dei trattamenti integrati che sono previsti dalle linee guida internazionali. Dovrebbero essere incrementate anche altre figure professionali all’interno delle équipe multidisciplinari».

Come valuta il bonus psicologo?

«Non bene, è come il monopattino ai tempi del Covid. Le prestazioni psicologiche devono essere inquadrate all’interno di una équipe in cui il paziente viene valutato. Posso anche capire la logica del bonus dato che il SSN non ha abbastanza psicologi. Ma serve una visita medica, una valutazione che tenga conto della gravità del disturbo e della necessità dell’intervento. Non va dato a pioggia, senza nessuno che valuta l’opportunità del tipo di percorso».

Ultimamente non sono mancati episodi di violenza con protagonisti persone che erano in cura psichiatrica o che avevano patologie psichiatriche. C’è una difficoltà ad intercettare questo tipo di disagio?

«È bene precisare che i pazienti psichiatrici non commettono più reati delle persone normali, lo dicono le statistiche internazionali e i dati epidemiologici. Anzi spesso i pazienti psichiatrici sono vittime di reati. È diverso il caso in cui il paziente psichiatrico fa uso di sostanze stupefacenti. In questo caso i dati dicono che aumenta la probabilità che quelle persone possano compiere anche atti aggressivi e violenti. Ma malattia mentale non vuol dire violenza e aggressività. Ci sono delle persone che stanno male, che non sono state intercettate dai servizi come nel caso della strage a Roma nell’assemblea di condominio».

I servizi territoriali sono senza personale ma aumentano le patologie psichiatriche…

«Il Servizio pubblico è in grande difficoltà. C’è poi da dire che nel report ministeriale non si parla degli adolescenti. Sappiamo che c’è stato un aumento notevole di patologie in età adolescenziale. La capacità di intercettare la patologia agli esordi è sempre più bassa, serve interazione con il mondo della scuola, con gli ambienti dove vivono i giovani. Manca anche il report dei pazienti seguiti dai Serd. Noi praticamente non ricoveriamo più nessuno agli esordi che non presenti anche l’uso di sostanze stupefacenti. Sono le persone più pericolose per sé stesse e per gli altri. L’uso di sostanze esacerba tutti i sintomi psichici, con deliri, allucinazioni, ecc».

C’è anche il tema dello stigma e del pregiudizio, non tutti accettano di andare dallo psichiatra…

«È per questo che si è pensato al buono psicologico. Ma la malattia mentale ha vari livelli come tutte le malattie. Gli psichiatri non sono solo distributori di farmaci ma fanno anche psicoterapia, parlano con il paziente, lo seguono, fanno riabilitazione. Nell’immaginario c’è questo discorso per cui da un lato la psichiatria è vista come quella che controlla il disordine sociale, dall’altro anche come quella dei vecchi manicomi con modalità coercitive di lavoro. Ma non è così, la psichiatria è una disciplina medica che ha bisogno anche della relazione, del colloquio e utilizza vari strumenti che vanno dai farmaci alla psicoterapia alla riabilitazione per aiutare le persone a trovare il loro benessere. Io ho tantissimi pazienti che ho curato e che non ho più visto. Si può avere un momento di difficoltà e riprendere la propria vita con serenità».

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