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Fai attenzione all’accondiscenza e alla manipolazione silenziosa

“Da come gli altri si comportano con noi non dobbiamo desumere e apprendere chi siamo noi, bensì chi sono loro”: la frase del filosofo Arthur Schopenhauer racchiude in sé l’importanza di capire chi abbiamo davanti a noi stessi per evitare che il suo comportamento possa influire negativamente sulla nostra persona.

Quando si tratta di instaurare un rapporto, che sia di lavoro o personale, immancabilmente siamo attirati da tutte quelle persone che si dimostrano gentili nei nostri confronti. Questo perché siamo spinti in modo naturale a instaurare legami privi di conflitti e preferiamo interagire con colleghi, parenti e amici accondiscendenti. Ma siamo sicuri che la condiscendenza dimostrata dal nostro interlocutore sia vera?

Un atteggiamento che rende i rapporti meno genuini

Essere empatici è un atteggiamento socialmente accettato. Tutti vogliamo dimostrarci agli altri gentili, sinceri e attenti ai bisogni di chi ci circonda. Se da una parte questo comportamento accondiscendente ci assicura rapporti pieni di armonia, senza conflitti e tensioni, dall’altra, mette a rischio il concetto stesso di rapporto interpersonale. La voglia di piacere spinge a instaurare legami non veri, in cui pur di accontentare l’altro ed evitare discussioni, si cela quello che realmente si pensa e si sostiene l’altro anche quando non si è d’accordo. Il risultato? Legami superficiali, che sono ben lontani dall’essere onesti e profondi.

Un atteggiamento che indubbiamente mette in pericolo la genuinità dei rapporti e che nei casi peggiori può trasformarsi nella manipolazione dell’altra persona. Quando si è troppo accondiscendenti, non c’è più un legame paritario, ma cominciano a venire meno gli equilibri. Chi è accondiscendente si considera migliore dell’altro al punto da considerarlo e farlo sentire inferiore. È una situazione che lascia un retrogusto amaro perché viene puntualmente mascherata dalle buone maniere.

Una voglia di superiorità mascherata da gentilezza

L’essenza della condiscendenza è la gentilezza, ma se questa viene meno ci troviamo davanti a una persona che non riesce ad essere empatica con noi. Al contrario ci minimizza perché si considera superiore, tanto da arrivare persino ad offendere, quasi senza che ce ne accorgiamo. La condiscendenza infatti è capace di farsi spazio nel nostro quotidiano, come ad esempio quando si danno consigli non richiesti oppure si sottolineano difetti e mancanze in maniera gratuita e ironica per poi incolpare l’altro di arrabbiarsi con eccessiva facilità. L’accondiscenza diventa ancora più difficile da affrontare quando si tratta di lavoro: un esempio può essere l’utilizzo di soprannomi o diminutivi con una falsa gentilezza volta a sminuire la persona. Questo avviene perché l’accondiscente è convinto di avere fatto addirittura un favore all’altra persona senza riuscire a capire realmente di averla messa in una situazione di disagio.

La condiscendenza può essere salutare, a patto che la schiettezza non sfoci nella maleducazione e nella brutalità. Dire la verità alle persone è un pregio ma bisogna anche saperla dire, visto che l’empatia e la schiettezza possono andare di pari passo e contribuire a relazioni sane e mature. In qualsiasi rapporto, più che la condiscendenza deve prevalere la flessibilità: i nostri bisogni vanno certamente messi in primo piano, ma senza che vadano a oscurare quelli dell’altra persona, che sia il partner, un amico o un collega di lavoro.

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