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Sanità partecipata, dall’esperienza del Lazio alla Campania: verso un modello nazionale

Volontà politica, coinvolgimento attivo, ma soprattutto concretezza e operatività. La ricetta per realizzare la sanità partecipata in Campania è stata ben calibrata e, almeno nelle premesse, sembra avere tutte le carte in regola per riuscire nell’intento. Parola di Teresa Petrangolini, direttore del Patient Advocacy Lab di ALTEMS (Università Cattolica del Sacro Cuore), che dal 2021 assiste la Regione Campania per costruire ed applicare nel migliore dei modi la delibera 303/2021 sulla partecipazione dei cittadini alla sanità. Sulla scorta di un modello vincente di sanità partecipata: quello della Regione Lazio. L’esperta ne parla ai microfoni di Sanità Informazione.

L’esperienza della sanità partecipata in Regione Lazio

«Nel Lazio – spiega Petrangolini – il modello ha funzionato per tre fattori fondamentali: il primo è stato una forte volontà, anche politica, di avviare questo percorso, e lo stesso mi sembra ci sia in Campania. In secondo luogo, l’aver coinvolto fin dall’inizio le associazioni: queste non si sono trovate da un giorno all’altro tirate dentro in un progetto definito da altri (la Regione), calato dall’alto o esclusivamente formale, ma al contrario, sono state coinvolte nella costruzione stessa della delibera, hanno quindi partecipato fin dall’inizio. Lo stesso abbiamo fatto in Campania, e non è un caso che abbiano già risposto 80 associazioni. Il terzo aspetto fondamentale è che si tratta di un modello fortemente operativo e pratico – sottolinea – che voglio illustrare nel dettaglio».

Come si attua concretamente la partecipazione

«Così come abbiamo fatto in Regione Lazio – spiega – tutte le associazioni, previa garanzia di trasparenza, possono iscriversi compilando l’apposito form presente nel sito della Regione Campania, scegliendo le aree di patologia su cui desiderano essere coinvolte.  Si formano quindi dei gruppi denominati “Gruppi di partecipazione attiva” (in Campania ne sono dieci) composti dalle associazioni che afferiscono ad una determinata area di patologia, che periodicamente si riuniscono, anche attraverso modalità digitali, per individuare da un lato il loro rappresentante che farà parte della cabina di regia regionale, dall’altro le priorità da sottoporre alla Regione. Ogni rappresentante di ognuno di questi 10 gruppi incontra almeno quattro volte all’anno l’amministrazione regionale per esporre le questioni prioritarie e stilare programmi d’intervento. Per ogni riunione si redige un verbale da condividere con le associazioni».

Il fattore umano dietro la piena operatività del sistema

«Con questo sistema – prosegue Petrangolini – nel Lazio abbiamo già intrapreso e realizzate numerose azioni, ad esempio sui PDTA o sulla semplificazione delle procedure. Per la prima volta si è riusciti ad istituzionalizzare e mettere a sistema dei percorsi di partecipazione e dialogo che altrimenti sarebbero stati frammentari, frammentati ed inefficaci. È un percorso virtuoso che gioverà al sistema sanitario perché le associazioni, come era prevedibile e auspicabile, si stanno dimostrando particolarmente attive e, è proprio il caso di dirlo, partecipi. La conditio sine qua non per far funzionare un’iniziativa del genere – aggiunge – è che l’amministrazione predisponga un gruppo operativo di funzionari che si occupi specificamente di metterla in pratica. Questo è un aspetto su cui abbiamo insistito tantissimo, ed infatti la Regione Campania ha messo su un nucleo operativo composto di risorse giovani e fortemente motivate, per far sì che il progetto non rimanga “lettera morta” e finalizzi gli scopi per cui è nato».

La sanità partecipata a livello nazionale: a che punto siamo

«Sicuramente l’esperienza della pandemia – afferma Petrangolini – ha contribuito alla presa di coscienza circa l’importanza del coinvolgimento delle associazioni nell’ambito della programmazione sanitaria. A ottobre è partito, ed è oggi in corso di attuazione, un progetto per avviare la sanità partecipata anche a livello nazionale, con il supporto di Patient Advocacy lab nella costruzione dell’atto di delibera. Anche qui, le associazioni hanno la possibilità di avanzare proposte e di partecipare all’agenda, non solo di essere consultate, ad esempio tramite la co-progettazione delle case di comunità, nell’osservanza del decreto che le ha istituite, comunicando le reali esigenze relativamente a queste ultime, facendo sì che non restino cattedrali nel deserto. Il tutto – conclude Petrangolini – tenendo conto della necessità di calibrare diversamente le modalità di partecipazione a livello nazionale rispetto al modello regionale, in ragione delle ovvie differenze strutturali tra i due comparti istituzionali».

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