Oggi i nuovi capigruppo di camera e senato, Braga e Boccia. Per la segreteria si tratta ancora la minoranza ci sarà. Malumori sottotraccia, ma nessuno le farà lo sgambetto, per ora
Nell’aula dei gruppi di Montecitorio la neosegretaria Elly Schlein riunisce per la prima volta i parlamentari Pd, senatori e deputati, e chiede che si parli dei contenuti del nuovo corso: questo, spiega, è «un primo momento di confronto sulla nuova fase e sulle priorità dell’attività politica e parlamentare». Solo «domani», cioè oggi, si affronterà «la questione degli assetti». Ma la questione degli assetti ormai è abbastanza pacifica. Oggi, i deputati (dalle 11) eleggeranno la loro nuova presidente Chiara Braga, e i senatori (dalle 10 e 30) il loro presidente Francesco Boccia: e cioè i due nomi della maggioranza che da subito Schlein ha proposto. Resta in alto mare la trattativa sulla nuova segreteria, ma ormai sembra altrettanto pacifico che sarà «unitaria». Dunque anche la minoranza – nelle sue diverse scuole di pensiero – ci sarà, in una proporzione considerata congrua. Dopo le tensioni degli scorsi giorni, e nonostante i malumori che restano, nessuno fra gli ex sostenitori di Stefano Bonaccini – in Texas per un viaggio istituzionale, ma del resto alla riunione non era convocato in quanto non parlamentare – vuole apparire come chi si mette di traverso sulla strada del nuovo corso.
Schlein rivendica il nuovo Pd
La segretaria ha il vento in poppa, per ora. Sa di avere la forza del plebiscito che l’ha eletta, e la esercita senza complessi per avviare il cammino del suo mandato. Non a caso esordisce con una rivendicazione: «In queste settimane abbiamo visto cambiare il clima intorno al Pd, nelle piazze e nell’opinione generale. Viviamo una fase positiva, testimoniata dalle 16mila tessere arrivate in pochissimo tempo. Vorrei che tutti insieme consolidassimo questo momento per rafforzare il Pd».
E la nuova «fase» è all’attacco di Meloni&Co: «Siamo in una contingenza economica grave, per quanto il governo tenti di nasconderla con una bandierina ideologica al giorno. Sul Pnrr il governo è indietro e l’Italia non può permettersi di fallire»; «Abbiamo iniziato questa nuova fase nei giorni della tragedia di Cutro. Chiamando il governo a chiarire la dinamica della strage. Siamo stati lì con i nostri corpi, senza parole, a portare omaggio alle vittime e ai loro familiari. Dopo il presidente Mattarella, e in assenza del governo». Sul lavoro precario e sul salario minimo «insisteremo, coinvolgendo le altre opposizioni». La segretaria cercherà convergenze anche «sulla sicurezza sul lavoro e sulla la sanità pubblica e universalistica». E sulle trascrizioni dei certificati dei figli di coppie omogenitoriali nati all’estero: quello della destra è «un attacco senza precedenti ai diritti dei bambini e delle bambine», «siamo stati nelle piazze con i nostri sindaci e lavoreremo anche in parlamento». Sui migranti: «Meloni doveva chiedere una Mare nostrum europea anziché dichiarare guerra alle Ong. È tornata da Bruxelles con un pugno di mosche». Sulla Rai: «Il governo sta cercando di metterci un po’ troppo le mani. Vigileremo».
Pace e guerriglia (nel Pd)
Tutti d’accordo, più nel dettaglio non si scende. Quindi più che le parole, bisogna leggere bene i segnali dell’assemblea, quelli che danno i gruppi, nei quali la vincente alle primarie ora ha la maggioranza grazie a un gruppo di “lettiani” già sostenitori di Bonaccini. Il primo segnale è che i parlamentari sono quasi tutti in presenza. Pochi si collegano da remoto, per lo più seniores: fra cui Piero Fassino, Pierferdinando Casini, Roberto Morassut e Lorenzo Guerini (il presidente del Copasir e capo di Base riformista, doveva partecipare a una cerimonia all’Università di Lodi, città di cui è stato sindaco). Schlein è seduta fra le due capogruppo uscenti Debora Serracchiani e Simona Malpezzi, che ringrazia, insieme al predecessore Enrico Letta. Secondo segnale: i primi a parlare, dopo di lei, sono Dario Parrini e Piero De Luca, due riformisti doc; tradotto, l’ala più scettica della minoranza non farà l’Aventino.
Il dibattito dunque si concentra sul «merito» dei dossier, e smussa gli angoli sulle questioni di metodo. Giusto qualche accenno. Fassino, per esempio, ha l’autorevolezza per dire alla segretaria che «condivisione non è spartizione» e ancora più direttamente che «chi ha interesse a tenere un partito unito è chi lo dirige».
L’ex ministro Andrea Orlando parla della discontinuità sul modello di competitività del paese: «Il tema che ci porta verso Visegrad è quello della transizione energetica e ambientale. Già con la legge di bilancio è stata confermata la permanenza del fossile». Parla anche di guerra: serve «un approfondimento su cosa significhi il viaggio di Macron e di von der Leyen in Cina per riflettere su come chiediamo di implementare l’iniziativa europea».
Qualche questione di metodo se la concede Gianni Cuperlo: «Non bisogna ricercare falsi unanimismi» né «premiare facili trasformismi». Temi ben noti ai segretari Pd, e certamente anche a Schlein.
Il rebus è se e come farà tesoro di questa consapevolezza. Intanto le sue prime mosse vanno a segno: ha spaccato la minoranza e portato a casa il risultato. Un’altra mossa sarà rinunciare ai potentati interni. Bruno Tabacci, dall’alto della sua competenza a farsi eleggere con scarsa massa votante, le dà un consiglio: invoca «rigore» contro i signori dei voti e delle tessere, i famigerati cacicchi. «Il terzo mandato dei presidenti delle Regioni è roba sudamericana», dice. L’allusione è a Vincenzo De Luca, che però è il padre del Piero testé intervenuto. Schlein conclude: «Abbiamo dei nodi politici davanti a noi, è innegabile, ma vorrei che provassimo a scioglierli insieme salvaguardando tra di noi la chiarezza».
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