Il responsabile Sanità della Lega, Luca Coletto, oggi assessore alla Salute in Umbria, elenca le priorità del Carroccio, a partire dall’aumento degli stipendi degli operatori della sanità. E rilancia lo stop al numero chiuso a Medicina: «Va cancellato e introdotto un biennio comune alle facoltà scientifiche. Per fermare l’imbuto formativo vanno aumentate le borse di formazione»
di Francesco Torre
Una sanità federale con una importante regia centrale, un aumento degli stipendi di medici e infermieri e un intervento sulla Legge Gelli per proteggere gli operatori sanitari dal contenzioso medico-paziente. Sono alcune delle priorità elencate da Luca Coletto, responsabile sanità della Lega, in vista delle prossime elezioni politiche. Coletto, già assessore alla Salute della Regione Veneto, presidente di Agenas e Sottosegretario alla Salute nel Conte I, oggi è assessore alla Salute della regione Umbria e non è tra i candidati alle elezioni del 25 settembre.
«La medicina difensiva deve pian piano scemare. Fino a qualche anno fa valeva sette miliardi. Con queste risorse possiamo migliorare l’assistenza degli anziani che aumentano sempre di più, l’assistenza domiciliare, l’assistenza nelle RSA» spiega a Sanità Informazione. Per Coletto la sanità non deve tornare alla gestione statale, perché ogni regione ha le sue esigenze e necessità, ma serve comunque una regia centrale. Centrale per Coletto l’attenzione al personale sanitario: «Sono stati eroi durante la pandemia, ma devono ora giustamente essere ricompensati». Continua la sua battaglia per archiviare il numero chiuso a Medicina: «Fino a qualche anno fa formavamo 10mila medici, ma ne entravano solo 6mila nelle specializzazioni. Siamo al limite del danno erariale».
Quali sono le priorità in sanità per la Lega?
«Vogliamo mantenere questo servizio su base universale, riparametrarlo rispetto alle necessità di ogni territorio: serve un federalismo sanitario che tenga conto delle necessità che sono diverse da regione a regione ma con una regia centrale che finanzi in maniera corretta le necessità territoriali e le strutture che verranno rinnovate, dando particolare attenzione al personale sia medico che infermieristico che dovrà avere una risposta anche dal punto di vista delle remunerazioni, che sono fra le più basse in Europa sia per quanto riguarda i medici che gli infermieri. Sono stati eroi durante la pandemia, ma devono ora giustamente essere ricompensati».
Lei sostiene che intervenendo sulla medicina difensiva si può risparmiare ma serve una copertura per gli operatori sanitari che non devono rischiare di andare in tribunale per ogni intervento che fanno. La legge Gelli va cambiata?
«Va rivista, vanno protetti i medici. La responsabilità è sempre personale. Sto parlando di buon operato, di un medico che non va in sala operatoria per fare danni. Va tutelato nei limiti del possibile. La medicina difensiva deve pian piano scemare. Fino a qualche anno fa valeva sette miliardi. Con queste risorse possiamo migliorare l’assistenza degli anziani che aumentano sempre di più, l’assistenza domiciliare, l’assistenza nelle RSA. Non dobbiamo dimenticare che se negli anni ‘70 la base della piramide era una base costituita da giovani ragazzi, oggi come oggi si è invertita, abbiamo la punta girata verso il basso. Dobbiamo attenzionare questa situazione e fare la giusta programmazione».
La sua idea di cancellare il numero chiuso sta facendo breccia. Forse è venuto il momento…
«Credo che non sia una grande novità eliminare il numero chiuso. Va fatto sempre con buon senso. Una volta non c’era e andavano avanti solo i migliori, c’era la meritocrazia. Abbiamo proposto un biennio valutativo, magari comune a più facoltà come farmacia e altre. Alla fine di questo biennio c’è una valutazione di merito, qualcuno sceglierà di fare il medico, altri il biologo, altri ancora il farmacista. Le borse di studio devono essere sufficienti e non devono più creare l’imbuto formativo che è esistito fino a qualche anno fa: si laureavano 10mila medici ma solo 6mila avevano la fortuna di accedere alla specialità ed esercitare la professione medica. Siamo al limite del danno erariale: formavamo 10mila medici, ne entravano solo 6mila. Altri 4 mila erano costretti ad emigrare o a fare altro. Lo dico con rammarico, perché i nostri medici sono apprezzati all’estero, hanno un’ottima preparazione perché le nostre università sono eccellenti e preparano al meglio i professionisti della sanità del futuro. Il numero chiuso va tolto, vanno incrementate le borse di studio per la specializzazione. Da parte delle regioni serve un coordinamento e una programmazione che sia rispettata perché le regioni, avendo la programmazione sanitaria in mano, possono chiarire quanti e che tipo di specialisti servono per mandare avanti gli ospedali. Se non si rimedia a questo vulnus e questo gap formativo, inevitabilmente vincerà la sanità privata. Non credo sia quello che vogliono gli italiani».
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