Ci scrive Enrico F. (Infermiere) e ci racconta una storia fatta di presunte sopraffazioni e di razzismo. Lui lavora in una nota azienda pubblica in Veneto, gli è stata negata la mobilità compensativa perché forse del Sud.
Carissimo Direttore,
le scrivo per annunciarle le mie prossime dimissioni da dipendente pubblico. Lavoro come Infermiere in una nota azienda sanitaria pubblica in Veneto e da alcuni mesi speravo in una mobilità compensativa per tornare giù al Sud, area d’Italia dove sono nato e vissuto fino alla mia iscrizione al Corso di Laurea in Infermieristica, che ho seguito in Lombardia.
Sono Infermiere da diversi anni e da circa 5 lavoro in UTIC in terra veneta. Un mio collega che aveva deciso di lasciare la Calabria mi ha chiesto un cambio alla pari per avvicinarsi a sua moglie che invece lavora in quel di Ferrara in Emilia Romagna.
Io sono Salernitano di origini e mi sarebbe piaciuto scendere al Sud, anche se non proprio nella terra che amo: la Campania.
Dopo tre mesi di attesa l’altro giorno ho ricevuto il diniego da parte dell’ULSS in cui presto la mia opera professionale. Nelle motivazioni vi era solo la dicitura “si rigetta istanza per motivi di servizio”.
Qualche giorno prima già mi avevano detto a voce che non mi avrebbero fatto il piacere di tornare a casa e che potevo decidere prima di essere assunto se restare in Veneto o meno.
In pratica sono stato punito perché ho deciso di lavorare in una terra non mia, al Nord, da profondo meridionale. Una vera vergogna, intrisa di razzismo.
Ora ho deciso di licenziarmi, a Salerno torno ugualmente, ma andrò a lavorare in una clinica privata. E lo farò finché ne avrò ancora voglia. Vi assicuro che la tentazione di lasciare questa professione è tanta. Ci trattano da bestia, ci definiscono terroni, ci pagano una miseria… ma chi cavolo me lo fa fare?
Grazie per aver accolto il mio sfogo, se deciderete di farlo.
Enrico F., Infermiere
PS = Orgoglioso di essere meridionale.