«Si chiama “anoressia neoplastica” e, anche se molto meno nota di quella che colpisce le giovani donne, è ugualmente frequente. Come è possibile dedurre dall’aggettivo “neoplastico” questa forma di anoressia scaturisce dalle cellule neoplastiche che, alterando il metabolismo, causano perdita di appetito, affaticamento, diminuzione di proteine, massa magra e grassa», spiega il professor Maurizio Muscaritoli, presidente della della Società Italiana di Nutrizione Clinica e Metabolismo (SINuC), illustrando uno dei temi al centro del 5° Congresso Nazionale della stessa SINuC, in corso a Lecce che si concluderà il 29 settembre.
Perché chi è malato di cancro perde peso
Ad affrontare il tema durante i lavori congressuali è stato il professor Alessio Molfino, del dipartimento di Medicina Traslazionale e di Precisione dell’Università Sapienza di Roma: «Il paziente oncologico – spiega Molfino – riferisce, sin dalla diagnosi, in un’altissima percentuale “anoressia neoplastica”. Alla riduzione degli apporti energetici e proteici (la cosiddetta ipofagia) si aggiunge il metabolismo delle cellule cancerose che “sottraggono” nutrimento all’organismo per proliferare. In alcuni studi è stato calcolato che il tumore sottrae dalle 300 alle 500 calorie al giorno e da 15-20 gr di proteine al giorno (Nutrition J. – 2010, 9:15). Ecco perché la perdita di peso è così repentina e anche solo un calo di peso del 5% identifica un quadro di pre-cachessia, condizione che interferisce con l’efficacia delle terapie».
Il counseling nutrizionale
Fortunatamente ad oggi si hanno a disposizione strategie efficaci che permettono di evitare un eccessivo dimagrimento del malato oncologico. «Il gap calorico e proteico può essere colmato con interventi di “counseling nutrizionale”’, tra cui piani dietetici personalizzati con alimenti arricchiti. Quando questo non è sufficiente passiamo a strategie di livello superiore tra cui l’utilizzazione per esempio di supplementi nutrizionali orali (ONS) – continua Molfino -. In caso di scarsa risposta dobbiamo agire con strategie di secondo livello rappresentate dalla nutrizione artificiale, che sarà valutata caso per caso dal medico nutrizionista clinico». Il cancro determina una sorta di tsunami metabolico all’interno dell’organismo ed interagisce con l’ospite tramite un meccanismo chiamato “crosstalk”: rilascia infatti sostanze cataboliche, come activine, miostatina, TGF-beta e sostanze infiammatorie come interleuchine, citochine, TNF-alfa. Questo esercito di molecole raggiunge sia il sistema nervoso centrale dove inibisce i centri dell’appetito, sia organi periferici come il muscolo scheletrico e quello cardiaco ed il tessuto adiposo, fino ad un quadro di cachessia. Quest’ultima, nella sua forma più avanzata fa si che l’organismo non sia più in grado di rispondere ai trattamenti, non è reversibile e si associa ad una cattiva prognosi.
La dieta mediterranea
Oltre all’oncologia, alla nutrizione come strumento di prevenzione, ai regimi nutrizionali per i pazienti chirurgici e i dispositivi per la nutrizione artificiale, anche la dieta mediterranea, riconosciuta dall’UNESCO nel 2010 come uno dei patrimoni immateriali dell’umanità̀, è stato uno dei temi cardine del 5° Congresso Nazionale della SINuC. «La Mediterranea è nota in tutto il mondo – dice il professor Muscaritoli -, caratterizzata da un alto consumo di cibi vegetali, una moderata assunzione di olio d’oliva e vino rosso e un limitato apporto di carni, latticini e grassi saturi. Questa combinazione di elementi, frutto di una cultura alimentare sviluppatasi nei millenni in alcuni paesi mediterranei come Italia, Grecia e Spagna, si è dimostrata scientificamente molto valida nel combattere stress ossidativo e infiammazione e la Puglia ne è tra le rappresentanti più prestigiose». Non è un caso, dunque, che due delle cinque zone del mondo, caratterizzate dalla più alta concentrazione di centenari, si trovano proprio nel bacino del Mediterraneo: Sardegna, in Italia, e Ikaria, in Grecia.
Di malnutrizione si muore
Al contrario, una dieta inadeguata può causare anche patologie letaeli. Stando ai risultati di uno studio pubblicato sulla rivista The Lancet, a cui hanno contribuito oltre 130 scienziati di quasi 40 paesi, a livello globale una morte su 5 sarebbe riconducibile a un’alimentazione scorretta, ovvero povera di cibi sani come i cereali integrali e i vegetali, e ricca di ingredienti pericolosi come il sale e le bevande zuccherate. L’alimentazione scorretta è responsabile del 22% delle morti registrate fra gli adulti ed è complessivamente responsabile di 255 milioni di anni persi per morte prematura evitabile o vissuti con disabilità. Tra i 20 Paesi più popolosi del pianeta, l’Egitto ha riportato il più alto tasso di decessi legati all’alimentazione e il numero maggiore di disabilità, mentre all’estremo opposto c’è il Giappone. L’Italia è decima in classifica con un tasso di morte di 107,7 per 100 mila individui e 97.821 decessi in un anno attribuibili alla cattiva alimentazione. Le cause? Scarso consumo di cereali integrali, cui sono attribuibili oltre 30 mila morti l’anno, seguito da eccessivo consumo di sale (oltre 18 mila morti), scarso consumo di semi e frutta secca (oltre 16 mila), scarso consumo di acidi grassi Omega-3 (circa 12 mila) e di frutta (oltre 11 mila).
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