Se a Natale vi hanno regalato un robot aspirapolvere valutate attentamente se adoperarlo o metterlo in cantina. Non che possa ferirvi in qualche modo, ma è reso curioso dalla telecamera con cui apprende e ricorda l’ambiente per aggirare intoppi ed evitare precipizi.
Ragion per cui mentre elimina la polvere fotografa tutto cìò che entra in campo a partire da voi, nudi o vestiti, in eleganti pose o seduti in bagno (come è accaduto a una signora con gli slip calati quanto basta).
In più genera un album di panoramiche e dettagli che dicono dell’arredo, della disposizione delle stanze, del nascondiglio dei gioielli, dell’assortimento dei farmaci, della presenza di quanti e (sbirciando bene) quali libri, gatti, cagnolini, coniglietti o, nei casi più tristi, soltanto scarafaggi.
Ovviamente non manca il censimento di ogni altro apparato tecnico che fa anch’esso parte dell’esercito di spie: il computer che troneggia sulla scrivania, il televisore intelligente, i tablet, i cellulari, le consolle di gioco dei ragazzi, i frigoriferi, le lavatrici e il microonde. Così la casa non è un rifugio e gli arnesi non sono nostri schiavi, ma propaggini dei Big Brother che costantemente ci sorvegliano.
Nuove intelligenze artificiali
È in atto in sostanza la pacchia dei dati che vengono esportati giorno per giorno a mezzo del (nostro) WI-FI o risucchiati periodicamente dalle schede di memoria ogni volta che uno di quegli oggetti pretende la sua manutenzione.
Fuori casa gli svaligiatori di case li immaginiamo già intenti ad hackerare gli aspiratutto per pilotarli come un drone e selezionare i bersagli più fruttuosi.
La pubblicità da parte sua già sta pagando quelle informazioni a peso d’oro per spremerne ogni succo grazie all’aiuto dell’Intelligenza Artificiale che instancabile soggiace al machine learning.
L’intelligenza artificiale da un lato acquista dati per apprendere, dall’altro risponde alle richieste di chi paga per averne le sentenze.
Non è più, e sarà ancor meno, un prodotto “scarso” perché i progressi di base sono cosa fatta, grazie a reti neuronali, architetture convoluzionali e così via elaborati nel corso dei decenni. E quindi ora tocca specializzazioni di prodotto con offerte d’Intelligenza adatte ad ogni portafoglio.
Le più care sono quelle “fatte a mano”, ovvero sorvegliate nella fase dì apprendimento dagli umani. Spendendo meno si ottengono cervelli un poco ottusi, ma per molti quel poco è sufficiente.
I primi bersagli dei piazzisti dell’Ia sono gli imprenditori (per mestiere volti all’ansia) cui si fa balenare l’idea di non poter fare a meno d’un cervello che rende i rivali più potenti e che (non è detto, ma è la ragione forte sottintesa) fornisce a tutte le linee di comando un capro espiatorio per le scelte disastrose.
Quindi ora è più sereno l’animo dell’assicuratore che fissa le clausole d’una polizza vita per Tizio o del fido bancario per Caio. Finora contavano solo i precedenti sanitari o il patrimonio accatastato; ora soccorrono anche le foto del robottino aspiratutto.
Geopolitica, altro che privacy
È bene non illudersi che tanta pervasività di tracciamento e profilazione possa essere domata a colpi di regole di privacy.
La situazione si è spinta troppo avanti, troppo grandi e diffusi sono gli atteggiamenti che l’alimentano, troppo velleitaria l’idea di una generale alfabetizzazione e messa in guardia degli utenti.
Sarebbe gran cosa invece cercare di far sì che tanta potenza cognitiva e commerciale non fosse solo statunitense, a costo di una zuffa geopolitica e di molte sovvenzioni per le proprie imprese.
Del resto, il ministero della Difesa americano ha appena firmato un contratto da 250 milioni di dollari con Scale-IT, l’Intelligenza residente in San Francisco che ha memorizzato la dama alla toilette, che speriamo abbia ottenuto, almeno, il mutuo.
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