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Parco Gaetano Pinna a Foligno, non sparate sul reduce di El Alamein

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Inaugurato il Parco Pinna, per la quale Associazione nazionale partigiani e forze di sinistra avevano protestato e polemizzato con il Comune

E’ stato intitolato nella mattinata di domenica 23 ottobre 2022 a Gaetano Pinna il parco pubblico di Foligno che si trova nell’immediata periferia della città umbra, tra via Antonio Ridolfi, via Francesco Innamorati e via monte Acuto. Gaetano Pinna fu docente della scuola media Gentile da Foligno e artigliere paracadutista della Folgore e fu uno dei pochi superstiti italiani della battaglia di El Alamein, nel corso della Seconda guerra mondiale. L’intitolazione ha scatenato però le proteste dell’Associazione nazionale partigiani e della lista civica di sinistra che a Foligno guida l’opposizione alla giunta comunale di centrodestra del sindaco Stefano Zuccarini. Gaetano Pinna era nato il 21 dicembre 1921 ed è morto il 23 dicembre 2005, oggi è sepolto nel cimitero di Cannara. Di seguito l’editoriale del vicedirettore Sergio Casagrande, sulla polemica, pubblicato venerdì 21 ottobre 2022 sul Corriere dell’Umbria:

di Sergio Casagrande

Da ex alunno del professor Gaetano Pinna dispiace leggere le dure prese di posizione di Anpi e forze di sinistra contro la scelta, assunta dal Comune di Foligno, di intitolare un parco pubblico a chi, oltre a paracadutista della Folgore ad El Alamein, è stato anche prigioniero di guerra, profugo dalmata, insegnante e maestro di vita e di valori. E so che, se oggi fosse ancora tra noi, sarebbe dispiaciuto molto di più a lui.

Ho avuto la fortuna di conoscerlo a cavallo tra gli anni ’70 e ’80. Fu il docente che mi accolse il primo giorno di scuola media, alla Gentile da Foligno che inaugurava proprio allora la nuova sede di via monte Soratte. E fu l’ultimo a salutarmi il giorno degli esami. Poi, ho avuto modo di incontrarlo anche negli anni successivi, fino a ritrovarci, nel 2001, ad abitare nello stesso quartiere.

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Gaetano Pinna non amava parlare con tutti del suo passato. E non rispondeva a chi gli chiedeva delle emozioni provate di fronte agli eventi e ai conti che gli aveva presentato la vita. 

Per sapere certi dettagli della sua storia, tre anni prima della sua morte dovetti chiedere alla collega Rita Boini di muoversi da Perugia per intervistarlo, perché sapevo che provava sempre un po’ di imbarazzo con i suoi ex alunni (il servizio fu pubblicato l’1 dicembre 2002 a pagina 13 del Corriere dell’Umbria).

I tre anni trascorsi con lui alla Gentile e le chiacchierate fatte in seguito incontrandolo in giro a Foligno, però, sono serviti a conoscere qualcosa in più dei soli tratti generali della persona Gaetano Pinna.

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Non so se fu un fascista. Non lo so, perché non me lo ha detto; e io non gliel’ho mai chiesto. E non mi risulta che gli siano stati contestati crimini o condotte di cattiva reputazione, né durante la guerra e né prima o dopo.

Tutt’altro. So che come insegnante fu molto stimato dai suoi alunni. E so che all’epoca era stimato anche dai colleghi. So anche che, almeno in quegli anni, non ha mai parlato di politica e non ha espresso simpatie o antipatie verso forze politiche o giudizi di genere. Anche se, personalmente, ritengo ne avesse, comunque, potuto avere i motivi, almeno per il fatto che aveva dovuto abbandonare l’Istria, cacciato da Umago perché italiano.

Gaetano Pinna è stato un Signore, di quelli con la S maiuscola. Perché, pur essendo un professore di tecnica, i suoi insegnamenti andarono oltre i libri della materia. 

Spesso, infatti, quando mancavano ancora dei minuti al termine delle lezioni, ci parlava dell’importanza di conoscere e della libertà di poter fare le proprie scelte e ci spiegava perché era importante rispettare le istituzioni, le opinioni, lo Stato, il Paese. E, scrutando ogni angolo della grande e nuovissima aula super attrezzata nella quale ci trovavamo, ci ricordava, consigliandoci di non dimenticarlo mai, che noi, ragazzini della seconda metà degli anni ’60, appartenevamo a una generazione fortunata.

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Che lui era profugo dalmata (se non sbaglio, rifugiato inizialmente ad Ancona) lo scoprimmo solo perché un giorno lo rilevò l’insegnante con la quale condivideva la cattedra di tecnica (la professoressa Sebastiani). E ricordo anche il suo volto che diventò scuro e triste: fu l’unico giorno in cui lo vidi con gli occhi sempre sbarrati e non lo sentii pronunciare neppure una parola.

Che lui era stato artigliere paracadutista della Folgore, invece, lo avevamo saputo dalla docente di storia (professoressa Barro) e lui lo confermò solo il giorno prima della gita scolastica di fine anno.

Fu una giornata indimenticabile, perché a tenere la lezione di storia fu proprio lui. Argomento: la battaglia di El Alamein. Fu anche il giorno che conoscemmo il suo terzo volto, dopo quello dell’insegnante rigoroso e del profugo marchiato dalla tristezza: quello dell’uomo orgoglioso e coraggioso, dagli ampi sorrisi e dagli occhi brillanti.

Raccontò del ragazzo magrolino diventato artigliere che aveva chiesto di far parte di un gruppo di incoscienti che avevano il sogno di lanciarsi nel vuoto.

Parlò del corso militare alla Regia Scuola di Tarquinia e della spietata selezione che lo aveva preceduto. Della nascente Folgore, un battaglione speciale tutto da inventare di una divisione di paracadutisti italiani che esisteva ancora solo sulla carta. Delle prime divise ricavate adattando le tute dei meccanici. Dell’addestramento e dei primi lanci. Della gioia e del senso di libertà che si hanno librando nell’aria. Della sabbia dentro i calzettoni. Delle vittorie italiane in Egitto e della sconfitta. Della sua cattura da parte degli inglesi. E della prigionia.

E quando, anni dopo, gli chiesi come aveva trovato il coraggio per superare tanto e perché lo aveva fatto mi rispose trattenendo le lacrime: “Perché all’epoca c’era bisogno di servire il mio Paese. E perché ero giovane per non farlo come tutti gli altri”.

Ora qualcuno obietta che dedicargli un parco pubblico non è opportuno. Che è “inaccettabile assegnare come istituzione un valore civile condiviso a un episodio bellico e a un protagonista di un conflitto provocato dalla Germania nazista in cui l’Italia fu irresponsabilmente trascinata dal criminale regime fascista, assecondato da una monarchia cinica e imbelle”. 

Ma che c’entra tutto questo con il Signor Gaetano Pinna?

Pinna fu un soldato che regalò gli anni migliori della sua vita al Paese. E lo fece convinto che fosse la cosa giusta, come tantissimi altri italiani che magari col fascismo, il nazismo e l’imperialismo non ebbero neppure nulla in comune. Scontò la prigionia come internato in un campo militare con la sola colpa di essere stato un soldato. E alla fine fu pure costretto a lasciare la Dalmazia dove abitava, abbandonato dal proprio Paese. E il riconoscimento della città non lo ha conquistato solo su un campo di guerra, ma dando un esempio encomiabile di cittadino italiano.

Se, quindi, per tutte quelle contestazioni avanzate da chi si oppone, non si dedicasse un parco a Gaetano Pinna, si dovrebbero allora cambiare anche i nomi di tante celebri vie, piazze e viali di Foligno e non solo, intitolati a eroi e protagonisti della stessa guerra e di conflitti passati?

Le osservazioni che vengono fatte da Anpi e lista civica, insomma, sono indubbiamente condivisibili se prese senza il riferimento personale, ma se le si riconducono a lui appaiono inopportune, anacronistiche e pretestuose, perché l’intitolazione del parco – lo si legge nelle motivazioni – è legata al soggetto e non all’esaltazione della guerra voluta da Hitler e Mussolini.

Allo stesso tempo, però, si deve riconoscere che è evidente un fatto: certi temi della storia d’Italia, inevitabilmente, continuano a essere divisivi.

A questo punto, quindi, per ristabilire la pace in città, il sindaco di Foligno un passo in più lo potrebbe anche fare: se ci sarà una targa ricordo nel parco Gaetano Pinna, aggiungiamo “Professore e” prima delle parole “reduce di El Alamein”. Il Signor Gaetano Pinna, da lassù, ne sarà comunque felice. E i suoi ex alunni pure.

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Twitter: @essecia

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