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Roma, Pinto e accapo

L’ho seguita tutta, tra un paletto e l’altro. E devo ammettere che ieri pomeriggio Tiago Pinto non mi è dispiaciuto: ha detto qualche verità, si è assunto la responsabilità degli acquisti mal riusciti (Viña, Shomurodov), ne ha cantate quattro (a distanza) a Zaniolo ed è stato particolarmente onesto quando ha affermato che la Roma è uscita indebolita dal mercato di gennaio.

Il “mea culpa” di Pinto

«Non sono soddisfatto – testuale – non posso dire che siamo migliorati… Aspettiamo Wijnaldum come rinforzo». Il caso Zaniolo gli ha maledettamente complicato la vita: «Non sfuggo alle mie responsabilità. Non sono contento, ma difficilmente si poteva fare meglio. Con l’offerta del Bournemouth avremmo potuto fare un mercato più importante e prendere un altro giocatore. Chi? Non lo dico per rispetto». Hamed Junior Traore (by Giuffrida) ex Sassuolo: lui – sì – al Bournemouth (i dettagli del tentativo li trovate in queste pagine).

Fra temi caldi e (forti) perplessità

Premetto che non ho intenzione di commentare la conferenza stampa punto per punto, anzi Pinto per Pinto. Mi soffermo solo sui temi caldi (e su forti perplessità). In primis, quello fondamentale: il futuro di Mou se la Roma non dovesse riuscire a centrare la Champions e se i programmi tecnici non dovessero registrare miglioramenti sostanziali. Così Pinto: «Si cerca sempre il conflitto tra me e Mourinho. I giocatori presi sono condivisi, però né Tiago Pinto, né Mourinho hanno tutti i giocatori che vogliono. Non ho paura di voi (giornalisti, nda) e mi assumo le responsabilità per chi non ha fatto bene nella Roma. Quelli che sono stati presi e non hanno fatto bene sono al 100% da addebitare a me. Talvolta ho visioni diverse da voi, alcuni giocatori hanno prospettive di 4-5 anni, ma le valutazioni voi le fate ogni fine settimana. Parlate di Viña e Shomurodov? Sono mia responsabilità».

Il cortocircuito tra i Friedkin e Mourinho

E qui casca l’asino. Che non è Pinto – lo chiarisco – bensì un modo di dire. «Non ho dubbi che in 3-4 anni la Roma sarà più solida e avrà un potere diverso, però dobbiamo proseguire su questo percorso, non c’è altro modo. Se parlo spesso del FFP non è che voglio giustificare il mio lavoro… quando andrò via dalla Roma voglio avere la certezza di lasciarla nel miglior modo possibile». Il guaio è che i programmi concordati dai Friedkin con Mourinho al momento della firma del contratto erano assai diversi – crescita progressiva e alta competitività al terzo anno – e già allora si sapeva che la società avrebbe dovuto affrontare restrizioni importanti. Qualcosa di peggiorativo è successo in sede Uefa con l’accettazione di un piano di smaltimento e riequilibrio (settlement agreement) addirittura castrante. «Mourinho è il primo a dire tutto questo quando volete accendere la conflittualità tra noi due» la conclusione di Pinto. Al quale ricordo, ma lui lo sa bene, che Mou è un aziendalista e ha perso da tempo la voglia di criticare apertamente il club proprio per evitare di aumentare tensioni e asprezze. «Devo sottolineare che la proprietà ha preso la Roma da due anni e mezzo» è ancora Pinto che parla «e ha fatto tanti investimenti per renderla più solida e forte. Hanno (i Friedkin, nda) sempre detto che pensano più a lavorare che a parlare, non posso criticarli. Quando parlo io, lo faccio perché obbligato: abbiamo il dovere di spiegare quello che facciamo. Non ricordo che Mourinho abbia detto di aver chiesto un incontro con la proprietà, parliamo spesso e non è che Mourinho sia un tecnico qualsiasi che ha bisogno di chiedere un incontro». Stupido io che pensavo il contrario, ovvero che dovessero essere i Friedkin a farsi vivi con un tecnico “non qualunque”.


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