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Sacche per enterale all'etilene: «La salute vale meno di 40 euro?»

Dopo l’articolo apparso su Sanità Informazione, la questione dell’impiego dell’ossido di etilene per la sterilizzazione delle sacche per la nutrizione enterale era sbarcata in Parlamento, diventando oggetto di una interrogazione parlamentare “a risposta scritta”. Era il 17 settembre del 2021. Oggi, a distanza di un anno e mezzo, l’interrogazione parlamentare è ancora in attesa di risposta e l’Associazione Famiglie Disabili Lombarde che, lo scorso anno, aveva inviato una lettera ai ministeri della Salute e della Disabilità, torna a puntare i riflettori sulla vicenda.

I fatti

Per comprendere meglio la vicenda, andiamo con ordine, ricostruendone la cronologia dei fatti.  «Nell’ agosto del 2021, la nostra Associazione – dice la presidente Maria Amalia Meli, in un’intervista a Sanità Informazione – ha inviato una lettera ai Ministeri della Salute e della Disabilità, rappresentando quali fossero i rischi per la salute derivanti dall’utilizzo di sacche per la nutrizione enterale sterilizzate con ossido di etilene e chiedendone l’immediato divieto di utilizzo».

Chi utilizza le sacche per enterale

La situazione presenta un’ulteriore aggravante: la condizione di estrema fragilità degli individui che utilizzano tali sacche. «Sono destinate a soggetti affetti da patologie gravi o immunodepressi. Si tratta proprio di quelle persone – sottolinea Meli – per cui la Direzione Generale della prevenzione sanitaria del Ministero della Salute, già nel 2017, aveva limitato l’utilizzo di biberon e tettarelle ugualmente sterilizzare con ossido di etilene. In quegli anni, a seguito di controlli scientifici dimostranti la permanenza di residui cancerogeni e tossici nei presidi a contatto con gli alimenti, come lo sono biberon e  tettarelle monouso utilizzati nei nostri ospedali, ne fu limitato l’uso, stabilendo una restrizione dell’utilizzo con un limite che potremmo definire “quantitativo”».

Limitato l’uso di biberon all’ossido di etilene

La Direzione Generale della prevenzione sanitaria del Ministero della Salute, infatti, ha stabilito che «la sterilizzazione tramite ossido di etilene può essere utilizzata solo per biberon e tettarelle classificati come “presidi medici”» da adoperare esclusivamente per quei soggetti che presentano una compromissione del sistema immunitario o gravi patologie, ovvero bambini nati prematuri i ricoverati nei reparti di terapia intensiva. «In altre parole, si esegue la sterilizzazione solo quando sia ritenuta necessaria e quando non siano presenti sul mercato dispositivi sterilizzati mediante metodi alternativi all’ossido di etilene ugualmente efficaci – aggiunge la presidente Meli -. Si tratta, dunque, di una soluzione basata su un mero calcolo matematico che limita ma non risolve il problema».

L’ossido di etilene è tossico e cancerogeno

Eppure, sulla tossicità dell’ossido di etilene l’Unione Europea è stata chiara: lo ha definito “gas tossico e cancerogeno (Direttiva 130/2019)”. «È stato scientificamente provato il rapporto diretto tra causa ed effetto, ossia tra il gas e leucemia, tumori al pancreas e al fegato, danni alla vista, danni riproduttivi», commenta Meli». Non è un caso, infatti, che dopo la posizione espressa sull’argomento dall’Unione Europea siano stati ritirati dal mercato, perché ritenuti contaminati dall’ossido di etilene, alcuni prodotti alimentari in 67 Stati membri dell’Organizzazione Mondiale della Sanità. «Nell’aprile del 2021, in Italia, sono stati banditi dal commercio torte, yogurt, confetture di marmellata ed altri prodotti contaminati dall’ossido di etilene», ricorda la presidente dell’Associazione Famiglie Disabili Lombarde.  Ma c’è di più: in tutta l’Unione Europea è vietata la sterilizzazione tramite ossido di etilene di contenitori a contatto diretto con gli alimenti (divieto ribadito nel 2020 in occasione del Regolamento di esecuzione (UE)2020/1540).

Sacche dell’enterale: a che punto siamo

«Alla luce delle evidenze scientifiche già raccolte, quanto dovremmo attendere (un anno e mezzo è già trascorso) affinché siano completate le verifiche della tossicità della sterilizzazione con ossido di etilene delle sacche per enterale, oggetto di un’interrogazione parlamentare?», domanda Meli. «La questione poteva essere risolta già sei anni fa (nel 2017), valutando le sacche per enterale alla stessa stregua dei biberon e delle tettarelle. È una continua perdita di tempo – commenta la presidente dell’Associazione -, considerando che sarà piuttosto ovvio trovare residui cancerogeni anche nelle sacche per enterale. Inoltre, al loro interno gli alimenti stazionano molto più a lungo che in un biberon. In media il cibo resta dentro ad una sacca per nutrizione enterale almeno 8-9 ore. Molti dei nostri bambini si alimentano con enterale notturna o addirittura 24 ore al giorno, quando vi è la necessità di una lenta somministrazione del pasto», spiega Meli.

Presidio medico o nutrizionale?

E allora cos’è che impedisce di accumunare biberon usa e getta e sacche per enterale? «È la classificazione dei presidi il vero nodo da sciogliere. Le sacche per enterale sono considerate “presidio medico”, al pari di bisturi e forbici. Una classificazione del tutto incoerente con l’uso che se ne fa – sottolinea Meli -. Per questo dovrebbero essere classificate più propriamente come “presidio nutrizionale” perché a stretto contatto con gli alimenti. È proprio il tema cruciale della classificazione delle sacche per enterale come presidio medico che rende possibile la sterilizzazione con ossido di etilene da parte della normativa italiana. È la stessa normativa italiana a classificarle come tali e, dunque, a non escludere e a consentire  la sterilizzazione con ossido di etilene. Un circolo vizioso dal quale pare difficile uscire».

È tutta questione di soldi

Eppure una soluzione c’è ed è meno complicata di quanto si possa immaginare. «Se in Italia è previsto un obbligo legislativo di sterilizzazione delle sacche per enterale, ma il metodo attualmente utilizzato è nocivo per la salute umana, allora perché non cambiare metodologia di sterilizzazione? Come ad esempio l’irradiazione per raggi gamma? L’obiezione posta da molti è il prezzo: l’irradiazione per raggi gamma costa undici centesimi in più a sacca. Moltiplicato per i 365 giorni dell’anno sono 40,15 euro in più per ogni persona che si alimenta con nutrizione enterale», conclude Meli. A questo punto della vicenda una domanda sorge: può la tutela della salute di una persona, già in condizioni di fragilità, valere meno di 40 euro?

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