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Se lo scudetto lo assegna l’arbitro pm

Nessuno avrebbe immaginato che l’auspicio contenuto nel detto “ci sarà pure un giudice a Berlino”, e attribuito a Bertolt Brecht, si sarebbe avverato al punto da farci convincere che esista un giudice in ogni punto del pianeta. Cosicché non solo la sorte della democrazia americana rischia di essere decisa dal processo contro Donald Trump, non solo quella dell’Italia è da tempo nelle mani dei pm, ma perfino il destino dello scudetto finirà per dipendere dalle inchieste della giustizia federale. Che, dalla Juve, si allargano a macchia d’olio su tutto il campionato, al carro delle indagini aperte dalle procure. Senonché il rapporto tra la magistratura sportiva e quella ordinaria è quello che con una metafora potremmo definire un guazzabuglio esoterico, cioè un intrico di contraddizioni tenute insieme da una logica ancora più incoerente. Perché da una parte l’inquisizione federale rivendica la sua autonomia dall’esito dei processi, con l’effetto di poter condannare chi magari sarà assolto nel giudizio ordinario e viceversa, dall’altra le prove su cui la giustizia sportiva fonda il suo giudizio sono quelle raccolte dalle procure ordinarie, ma prima che su queste cada la verifica del contraddittorio nel processo.

Logica sommaria

Cosicché può accadere che elementi acquisiti dal pm e confutati in udienza, o comunque ritenuti inadeguati a fondare colpevolezza, siano assunti dal magistrato sportivo come prove regine. In tal modo il verdetto federale si nutre degli scarti del processo penale, reinterpretandoli a suo piacimento in una logica sommaria, grazie anche alla vaghezza delle fattispecie sportive. Per essere più chiari, un fatto o una condotta penalmente irrilevanti possono tuttavia fondare quella slealtà sportiva che giustifica una penalizzazione in classifica o addirittura una retrocessione. Senonché in tal modo, oltre che sommaria, la giustizia sportiva rischia di essere una teocrazia del pregiudizio, dove si sanzionano, secondo morale, condotte che, in assenza di un accertamento, potrebbero non essere neanche accadute, o in ogni caso non risultare illecite.

Campionato ai pm

Ma non basta. La subalternità del giudice sportivo a quello ordinario, quanto all’acquisizione delle prove, consegna il destino del campionato all’azione penale dei pm, la quale è, a dispetto della sbandierata obbligatorietà, quanto di più discrezionale esista sulla faccia del pianeta. Con l’effetto che, essendo i pm uomini di mondo, attraversati e rapiti al pari degli altri umani dalla passione sportiva, c’è il rischio che l’orientamento calcistico dell’investigatore funga da interruttore dell’indagine, accendendola o spegnendola sulla base delle proprie propensioni calcistiche. Qualcuno obietta che, in fondo, la giustizia sportiva ha funzionato sempre a questo modo, e rammenta che i calciatori e i dirigenti squalificati nella prima grande inchiesta che si ricordi, quella dello scandalo delle scommesse del 1980, furono assolti in sede penale. Qualcun altro fa notare che se la giustizia sportiva dovesse attendere l’esito dei verdetti ordinari, e rifarsi a questi, risulterebbe inutile, visti i tempi biblici della giustizia ordinaria. Tutto ciò è indubitabilmente vero. Ma lo è allo stesso modo un’altra considerazione: oggi che il calcio è diventata una delle più importanti economie del Paese, quale imprenditore potrà essere invogliato a investire decine, e talvolta centinaia, di milioni in un’intrapresa che somiglia a un terno al lotto, le cui regole tutto risultano, tranne che razionali e prevedibili?

Tracciare una linea

È un tema per la politica federale dei prossimi anni. Ci permettiamo di offrire un suggerimento. Se il principio che regolerà la giustizia sarà ancora per il futuro quello dell’autonomia, che almeno quest’autonomia sia piena. Si fondi su attività istruttorie proprie, capaci di investigazioni efficienti, e non subalterne all’attività delle procure. E decida pure per prima, magari tipizzando meglio l’illiceità sportiva, cioè tracciando una linea, intellegibile a tutti, tra ciò che è permesso e ciò che è vietato. Perché ciò accada bisogna assegnare meno incarichi da dopo lavoro ai magistrati ordinari e investire su una magistratura autonomia e professionalizzata, e soprattutto più indipendente di quanto si sia visto fin qui. Sarebbe peraltro un servizio che le istituzioni sportive renderebbero alla democrazia italiana, evitando che, in nome di quella deriva totalitaria che sposta sulla magistratura un potere crescente sulla vita di una comunità, anche lo scudetto finisca per essere deciso da un pm, arbitro supremo del tutto. 

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