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Tunnel carpale e Covid-19: esiste una relazione?

Il Covid-19 potrebbe essere uno dei fattori di rischio del tunnel carpale. È questa una delle conclusioni a cui sono giunti gli scienziati del Campus di Roma dell’Università Cattolica e Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS, in un lavoro pubblicato su The Lancet Neurology. «Due aspetti correlano il tunnel carpale al Covid-19: uno di tipo deduttivo, un altro oggettivo. La pandemia da Sars CoV-2 ha ridotto le attività elettive: gli interventi non urgenti sono stati rimandati, causando un peggioramento dei quadri clinici di alcuni pazienti, compresi quelli affetti da tunnel carpale», spiega a Sanità Informazione il professor Luca Padua, a capo del team di ricerca, associato in Medicina Fisica e Riabilitativa alla Facoltà di Medicina e chirurgia dell’Università Cattolica e Direttore della UOC di Neuroriabilitazione ad Alta Intensità del Policlinico Gemelli.

I casi clinici

«Oggettivamente, invece, l’infezione da Covid-19 può coinvolgere il sistema nervoso periferico e quindi essere causa di tunnel carpale», aggiunge lo specialista. I due casi clinici che correlano il tunnel carpale al Covid-19 sono stati descritti da un gruppo di ricerca italiano dell’Università di Modena e Reggio Emilia e pubblicati su Medical Hypotheses. «Il meccanismo ipotizzato è quello di una reazione infiammatoria delle cartilagini scatenata dal virus, con conseguente compressione del nervo mediano al livello del polso. Tuttavia – sottolinea Padua -, si tratta, al momento, di un dato troppo esiguo per poter affermare che esista una relazione causale tra Covid-19 e sindrome del tunnel carpale».

Tunnel carpale e malattie rare

La stessa ricerca ha evidenziato anche un’altra importante correlazione: quella tra malattie rare e comparsa di tunnel carpale. «È stata osservata la presenza di tunnel carpale in alcuni pazienti affetti da amiloidosi (una malattia rara in cui proteine che hanno assunto una configurazione anomala formano fibrille amiloidi che si accumulano in vari tessuti, ndr). Questo non significa che il tunnel carpale debba rappresentare un campanello di allarme per la comparsa di alcune malattie rare. Piuttosto – spiega il professore – se si osserva la comparsa di tunnel carpale in un paziente giovane senza fattori di rischio (ad esempio lavorativi)!sarà bene riflettere attentamente sulla possibile presenza di altre patologie, come ad esempio l’amiloidosi. In tal senso, è di grande aiuto l’ecografia: il quadro ecografico di un tunnel carpale causato da una malattia rara risulterà piuttosto atipico».

Tunnel carpale e smartphone

Poco si sa invece sull’effettiva correlazione tra tunnel capale e l’uso prolungato delle tecnologie: «Le evidenze scientifiche disponibili non hanno definito con sicurezza se l’uso prolungato di device, come lo smartphone, rappresenti un fattore di rischio per la sindrome del tunnel carpale. È verosimile, tuttavia, che possa predisporre alla sindrome, come dimostrato in alcuni recenti studi su piccole popolazioni», sottolinea Padua.

I numeri della patologia

Si tratta di un problema estremamente diffuso: si stima che circa una persona su 10 ne soffra nel corso della propria vita. La patologia si presenta con maggiore frequenza tra i 50 e i 54 anni, e tra i 75 e gli 84 anni. «Insorge più frequentemente con una sintomatologia notturna, caratterizzata da parestesie e dolore alla mano, con possibile irradiazione prossimale, ovvero all’avambraccio ed al braccio. Con il tempo – commenta lo specialista – tali sintomi compaiono anche di giorno, spesso in seguito ad utilizzo prolungato della mano e talvolta con una localizzazione delle parestesie alle prime tre dita. Nei casi più gravi si rileva una perdita di sensibilità e deficit di forza della mano. Secondo alcuni studi, spesso, si rende necessario il trattamento chirurgico».

I trattamenti

Gli interventi chirurgici e non chirurgici sono utili per il trattamento di questa sindrome e sono ora disponibili diverse opzioni di cura, che forniscono ai medici la possibilità di scegliere l’approccio migliore personalizzandolo per ogni paziente. «Nonostante ciò, le evidenze della letteratura suggeriscono che il primo passo nel trattamento della sindrome è non chirurgico (di tipo conservativo), iniziando con l’informazione e l’educazione del paziente, seguito dall’uso di splint (tutori che, limitando i movimenti di del polso, riducono le sollecitazioni a livello del polso) e dalle iniezioni di corticosteroidi. La chirurgia dovrebbe essere riservata alle compressioni più gravi e in fase più avanzata. La selezione dell’approccio migliore per la diagnosi e il trattamento della sindrome del tunnel carpale – conclude il professor Padua – si basa, dunque, sull’esperienza e sull’opinione del medico».

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