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La medicina territoriale in ottica di genere, la sfida del PNRR

Che il covid abbia lasciato in eredità diverse patologie è ormai un dato di fatto. Oltre il 30 percento degli italiani che ha affrontato la malattia in forma grave soffre ancora, a distanza di oltre un anno, degli effetti del long Covid e ad avere la peggio sembrano essere le donne. La conferma arriva dal 6° congresso di Fondazione Onda su “La medicina territoriale in ottica di genere, la sfida del PNRR”.

Long Covid: le donne sono più esposte

Se la ricerca da sempre arruola solo il 25% di donne creando una disparità di genere negli studi clinici, è evidente che la medicina risulti poi essere “tarata” sull’uomo e dunque penalizzante per l’emisfero femminile. Non stupisce perciò che, dagli studi effettuati sul Long Covid, emerga una maggiore predisposizione delle donne alle conseguenze del virus a medio e lungo termine, come evidenziato da Andrea Gori, infettivologo, Direttore di Unità Operativa Complessa del Policlinico di Milano e professore ordinario di Malattie infettive all’Università degli studi di Milano. «Le donne soffrono di più gli effetti del long Covid, in particolare nella sfera cardiovascolare e metabolica – ha rilevato l’infettivologo durante il congresso – hanno anche maggiori problemi legati all’aspetto psicologico, neurologico e psichiatrico con stress, depressione e disturbi del sonno». Insomma, un quadro che richiede una presa in carico multidisciplinare con il coinvolgimento di diversi specialisti. «A Milano sono in corso quattro studi che coinvolgono diversi istituti di ricerca e ospedali per indagare i livelli di gestione del long Covid – ha aggiunto Gori – l’obiettivo è mettere insieme ospedale e territorio con la finalità di creare delle linee guida e una piattaforma comune da utilizzare poi in tutta la Regione come modello per la gestione dei pazienti».

Le differenze territoriali

La strada però è ancora lunga in particolare sul territorio dove le differenze tra le regioni italiane sono ancora tante. «Molti territori sono all’avanguardia, in altri, soprattutto al sud, in ritardo – ha reso noto Alessandra Carè, direttrice del centro di riferimento per la medicina di genere dell’Istituto Superiore di Sanità –; tra le più attrezzate ci sono Toscana e Lombardia che hanno inserito la medicina di genere tra gli atti di programmazione e il Lazio che negli ultimi mesi ha realizzato il primo rapporto sulla Medicina di Genere. A livello nazionale invece nel 2019 è stato istituito un osservatorio focalizzato su quattro ambiti: clinica, ricerca, formazione e comunicazione con l’obiettivo di garantire sui territori la diffusione della medicina di genere, mentre per i transgender è nato il portale www.infotrans.it dalla collaborazione tra Istituto Superiore di Sanità  e l’Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali della Presidenza del Consiglio dei Ministri, per la consulenza sanitaria e giuridica. Le regioni più virtuose in questo ambito sono Emilia-Romagna e Lombardia rispettivamente con 26 e 15 sportelli dedicati, fanalino di coda il sud, ad eccezione della Campania dove a Napoli sono presenti tre strutture dedicate».

Cronicità e prevenzione gli ambiti in cui è richiesto lo sforzo maggiore

Un sondaggio realizzato da Fondazione Onda, in collaborazione con l’istituto Elma Research, ha messo in evidenza i limiti della medicina territoriale che, se nel post Covid è stata il punto di riferimento della popolazione, è altrettanto vero che ha soddisfatto solo un quarto della popolazione. Le principali criticità evidenziate riguardano la difficoltà di prenotazione, nel 58 percento dei casi, tempi lunghi di attesa per il 53 percento degli intervistati e disponibilità troppo limitate per un italiano su due. Gli ambiti più colpiti sono cronicità e prevenzione.

Per riorganizzare la sanità territoriale dal PNRR arriveranno 15,63 miliardi. Basteranno? Questa la domanda rivolta ai professionisti al congresso di Fondazione Onda, in programma dal 27 al 29 settembre. Per Walter Ricciardi, consigliere scientifico del Ministero della Salute e Nino Caltabellotta, medico e presidente della Fondazione Gimbe «il PNRR rappresenta una opportunità per il sistema sanitario da un punto di vista strutturale, ma occorre risolvere le disparità esistenti nelle regioni con una standardizzazione».

«I primi 21 miliardi arrivati sono stati impiegati per avviare i COT (Centri Operativi Territoriali e per migliorare le attrezzature, in particolare digitali», ha fatto notare Gianluca Altamura del Ministero della Salute.

La transizione digitale passa dalle case di comunità

«Le case di comunità avranno un ruolo centrale nella sanità territoriale: dovranno gestite le cronicità e avviare il servizio di telemedicina – ha puntualizzato Giovanni Pavesi dirigente di Regione Lombardia –, questo dovrà giocoforza cambiare la mentalità del cittadino, che imparerà ad avvalersi del teleconsulto; e dei medici di medicina generale che saranno supportati dagli infermieri, figura professionale centrale nelle case di comunità e negli ospedali di comunità».

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