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Così INTERSOS ha portato il vaccino COVID agli emarginati

Coinvolgere migranti e persone senza fissa dimora nella più grande campagna vaccinale della storia, quella per il vaccino Covid 19. Un lavoro di cui si è fatto carico l’organizzazione non governativa INTERSOS che, oltre a collaborare alla campagna COVAX in Nigeria e Yemen, ha operato nelle comunità marginalizzati anche in Italia. Quattro le regioni coinvolte: Lazio, Calabria, Puglia e Sicilia. La parola chiave è stata “prossimità” perché quasi sempre si è trattato di un lavoro fatto sul territorio, andando fisicamente nei luoghi dove queste persone vivono, come nel caso delle comunità di braccianti del foggiano.

«I nostri interventi sono stati immediatamente convertiti su strada – spiega a Sanità Informazione Alessandro Verona, Coordinatore medico Europa INTERSOS -. Col sopraggiungere della possibilità di vaccinazione abbiamo cercato di mediare più rapidamente possibile con comunità altamente marginalizzate sul piano sociale e geografico. Ci siamo trovati di fronte a ghettizzazioni fisiche, per cui c’erano tanti ostacoli per l’accesso alla vaccinazione. Abbiamo coinvolto le comunità e le aziende sanitarie locali con sperimentazioni che si sono rivelate efficaci».

Il problema della disinformazione e dell’esitazione vaccinale

Uno dei grandi ostacoli che hanno incontrato gli operatori di INTERSOS è stato quello dell’esitazione vaccinale: la disinformazione ha spopolato ancora di più in contesti ai margini, come nelle comunità di persone in attesa di permesso di soggiorno. Uno dei metodi è stato quello di creare delle vere e proprie “stanze della salute” all’interno delle occupazioni per spiegare l’importanza della vaccinazione e formare dei promotori di salute.

«L’esitazione vaccinale – spiega Verona – è stata uno degli elementi più difficili su cui lavorare nell’andare a confrontarsi su culture diverse. Inoltre, la disinformazione che abbiamo vissuto trasversalmente in tutto il globo sulla questione della pandemia è stata difficile da eradicare nel momento in cui si trattava di comunità che vivono molto distanti socialmente e percettivamente dalla società integrata. Per questo è fondamentale ragionare in termini di coinvolgimento attivo delle comunità e nella capacità di formare promotori di salute».

Il sistema delle Community Base Organization

Per INTERSOS il metodo utilizzato che vede in primis il coinvolgimento comunitario e poi una reale medicina di prossimità può essere una buona pratica da replicare altre per altre campagne di salute.

«Su Foggia – spiega Verona – solo con l’attività del nostro intervento abbiamo raggiunto 6360 persone. un risultato notevole, visto che durante l’estate la raccolta agricola del pomodoro richiama tra le 6500 e le 7mila persone. Ma anche dove non eravamo presenti siamo riusciti comunque ad avere un buon impatto grazie a delle associazioni che noi chiamiamo ‘Community Base Organization’ che hanno replicato il nostro metodo anche in altre regioni coinvolgendo quasi 6mila persone».

La sfida per il futuro resta la medicina di prossimità, che non si esaurisce però solo nelle Case e negli ospedali di Comunità previsti dal PNRR. «È molto importante andare a cercare di coinvolgere le Aziende sanitarie in una dimensione di medicina di prossimità, anche ripresa concettualmente dal PNRR, che però deve essere applicata bene. Ciò significa portare i servizi vicino alle persone. Un errore grande a nostro avviso è stato quello di definire le comunità marginalizzate ‘hard to reach’: ma sono davvero le persone ad essere ‘hard to reach’ o piuttosto il sistema?» conclude il Coordinatore medico per l’Europa di INTERSOS.

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