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Il disagio quotidiano dei pazienti con malattia di Fabry

«Abbiamo cercato con richieste e interrogazioni di far riconoscere la malattia di Fabry come invalidante al Ministero della Salute ma queste sono sempre cadute nel vuoto. È un’ingiustizia sociale che non riusciamo a risolvere». Stefania Tobaldini, presidente di AIAF – Associazione Italiana Anderson-Fabry, è un po’ sconsolata nel ricordare le tante battaglie compiute per far riconoscere le necessità socio assistenziali di questi pazienti.

La patologia, di origine genetica, è causata da accumulo lisosomiale ed è dovuta alla carenza dell’enzima alfa-galattosidasi A. Questo provoca danni a livello renale, cardiaco e del sistema nervoso centrale tali da compromettere qualità e aspettativa di vita. I sintomi sono dolori anche molti forti agli arti, febbre, stanchezza e intolleranza agli sforzi, al caldo e al freddo eccessivi, talvolta anche disturbi dell’udito e della vista, sintomi non specifici che rendono piuttosto difficile la diagnosi, che può arrivare in età adulta, anche con grande ritardo. Sono circa mille le persone colpite, ma potrebbero essere molti di più data la complessità della diagnosi.

Fabry non riconosciuta per l’invalidità civile

Una condizione complessa a cui però non corrisponde un adeguato riconoscimento sociale. Basti pensare, secondo un report AIAF, che superano i 4mila euro i costi che, ogni anno, in Italia, rimangono a carico di un paziente Fabry. Costi che sono in minima parte diretti, legati alla diagnostica complessa della patologia, e per la maggior parte invece indiretti, derivanti perlopiù dalla mancanza di tutele quali il riconoscimento dell’invalidità civile o delle agevolazioni previste dalla Legge 104/1992. Tutti temi di cui si parlerà nel Meeting Nazionale Pazienti e Famiglie Fabry che si svolgerà a Rimini l’11 e il 12 marzo.

«Il 90% delle richieste che arrivano in associazione sono richieste di aiuto perché i pazienti hanno difficoltà con il lavoro – spiega Tobaldini -. Tra le varie opzioni terapeutiche c’è la terapia enzimatica sostitutiva che è una infusione che va fatta ogni 14 giorni. Può essere fatta anche a casa in orari extra lavorativi ma non tutte le regioni garantiscono questa possibilità. Chi la fa in spedale è costretto ad andare in orario di lavoro e solo in orario mattutino. Anche su questo le regioni si muovono in ordine sparso».

Senza la legge 104 i pazienti sono costretti a utilizzare giorni di ferie per curarsi e solo la terapia enzimatica richiede 26 giorni lavorativi all’anno. Ed è anche per questo che l’inclusione lavorativa di questi pazienti è molto complicata.

Il problema delle diagnosi precoci e degli screening neonatali

Ma non la legge 104 non è l’unico problema. C’è il tema delle diagnosi precoci, importante per evitare complicanze poi non più reversibili: «Questa malattia – spiega ancora la presidente AIAF – non è ancora inserita nello screening neonatale. Nonostante la manovra finanziaria del 2019 lo preveda manca l’inserimento nei LEA e l’aggiornamento del decreto tariffe. Alcune regioni si sono attivate ma non tutte, quindi a seconda della ‘fortuna geografica’ un paziente può avere una diagnosi alla nascita».

Altro tema importante è quello di una presa in carico globale da parte di una equipe multidisciplinare: «Tutti i centri di riferimento hanno problemi organizzativi: non si riescono a condensare le visite in un’unica giornata e il paziente deve entrare e uscire dall’ospedale costringendolo a perdere giorni di scuola e di lavoro. Serve un team multidisciplinare ben organizzato in modo che in massimo una o due giornate si possano svolgere tutti i controlli (visita nefrologica, cardiologica,  gastroenterologica, ecc)» conclude Tobaldini.

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