Dall’analisi dei dati della ricerca sulla morte e il morire in Italia che qui presentiamo e che ha coinvolto per tre anni e a diverse latitudini decine di ricercatori è emerso che la classe sociale è un importante fattore di stratificazione della speranza di vita e della sua durata.
Più alta la posizione sociale, più a lungo si vive. Ma la collocazione sociale non influenza solo quanto a lungo viviamo.
La posizione che ciascuno ricopre nel sistema di stratificazione sociale è profondamente intrecciata con le regole che governano l’ultimo tratto di vita, dà forma alle pratiche che sostanziano la separazione tra i vivi e i morti e stabilisce le modalità con cui si verrà ricordati da chi resta.
Consideriamo i funerali. I dati raccolti mostrano che l’importanza attribuita alla cerimonia funebre va riducendosi a mano a mano che ci spostiamo dagli strati relativamente svantaggiati a quelli privilegiati del sistema di stratificazione sociale.
Chi parla al funerale?
Anche le modalità delle cerimonie cambiano. Consideriamo la tendenza, che si va affermando da tempo, a una crescente partecipazione attiva di familiari e amici nelle cerimonie funebri.
Tra le varie forme in cui questa tendenza si è espressa, un ruolo di rilievo è occupato dall’affiancamento crescente al sermone del sacerdote di discorsi pronunciati da familiari stretti, amici, colleghi.
Al cuore di questi ultimi sono collocate la biografia del defunto e i suoi legami sociali più significativi. Ma questa pratica non si è affermata nella stessa misura in tutti gli strati sociali.
A non voler sottrarre al sacerdote la centralità assoluta nel rito sono soprattutto gli appartenenti alle classi lavoratrici e coloro che provengono da famiglie con livello di istruzione inferiore.
Ma anche quello che accade fuori dalla chiesa assume un significato diverse nei vari insediamenti sociali.
Si stanno sempre più diffondendo telefonate e videochiamate, messaggi testuali, vocali e in video, inserimento di post nelle bacheche virtuali dei social media dei defunti, dei loro amici e familiari.
Si tratta di forme che possono affiancarsi a quelle più tradizionali, come la visita a casa o la partecipazione alla cerimonia funebre, ma che in alcuni casi possono anche sostituirsi a queste.
Si generano, in quest’ultimo caso, due stili opposti di partecipazione a un evento luttuoso. Uno basato sulla presenza fisica, l’altro che le assegna un ruolo assai meno centrale.
Le condoglianze
Anche in questo caso la collocazione sociale si rivela decisiva, Fare le condoglianze di persona ai funerali è una pratica la cui diffusione si riduce decisamente al crescere della posizione sociale della famiglia da cui proveniamo.
Al contrario, il ricorso ai social e alle altre nuove forme di comunicazione per le condoglianze cresce con l’aumento del livello di reddito e di istruzione.
Se l’attenzione per le cerimonie funebri si riduce passando dalle classi lavoratrici alle classi superiori, quella per la sepoltura segue la direzione contraria.
Non solo la quota di italiani impegnata a procurarsi uno spazio al cimitero, o che dispone di una tomba di famiglia, aumenta al crescere del titolo di studio, e tra gli i colletti blu è sistematicamente inferiore che tra i colletti bianchi.
Anche l’abitudine a conservare oggetti appartenuti a persone care defunte è più diffusa nelle famiglie relativamente privilegiate. In un articolo precedente abbiamo ricordato che in Italia le cremazioni sono in crescita da molti anni.
E sappiamo anche che, con la crescente diffusione, anche gli atteggiamenti nei confronti della cremazione sono oggi assai meno polarizzati sotto il profilo della posizione sociale, di quanto lo siano stati un tempo, quando la cremazione era una scelta circoscritta ai ranghi della borghesia.
La dispersione delle ceneri
Eppure, l’influenza della classe sociale continua a farsi sentire nei confronti di forme decisamente più innovative, e ancora marginali, di trattamento dei corpi, come la dispersione delle ceneri, una pratica che continua a essere avversata dalla Chiesa Cattolica.
Il favore nei confronti della dispersione anziché della tumulazione tradizionale delle ceneri al cimitero, infatti, cresce decisamente con la posizione sociale, a parità di livello di religiosità.
È solo tra le classi superiori che l’idea di non avere un luogo fisico in cui piangere il defunto comincia ad affermarsi e a essere investita di significati rituali nuovi.
Lo racconta Arianna, appartenente alle classi superiori di una grande città del Mezzogiorno, ricostruendo la complessa trama di pratiche e di significati all’interno della quale ha voluto inserire la cremazione del marito, avvenuta oltre dieci anni prima.
Nelle sue parole: «Quando ho deciso di seguire l’impresa che portava Giovanni al crematorio, ecco tremila persone a saltar su e a dirmi: “vengo con te, vengo anche io, ti accompagno”. Ma non avete capito niente! Io non voglio nessuno. Con Giovanni ci eravamo detti tante volte che ci saremmo fatti finalmente un viaggio da soli. E adesso, con la nave da prendere e tutto, eccolo il viaggio! E dopo la cremazione mi sono subito fatta dare un po’ delle ceneri – che non si poteva nemmeno – e così – nel viaggio del ritorno – le ho liberate in mare. È stata una cosa meravigliosa. Vuoi vedere il filmato?»
Esperienze di questo genere sono decisamente più infrequenti nelle classi lavoratrici.
Innovazioni social
Sarebbe tuttavia improprio ricavarne l’idea che l’innovazione rituale sia prerogativa dei ceti alti e la difesa delle tradizioni di quelli bassi. Non tutte le forme di innovazione, infatti, nascono «dall’alto».
Il caso più sorprendente riguarda l’irruzione di internet e dei social media in tutte le sfere della vita quotidiana, compresa quella relativa alla morte.
Abbiamo riferito che i membri delle classi più agiate fanno maggiormente ricorso ai social per esprimere il proprio cordoglio e fare le condoglianze, ma coloro che appartengono alle classi più umili usano di più i social per rivolgersi direttamente a chi non c’è più.
Il punto è che la linea di demarcazione tra le classi non separa innovazione e tradizione. Segnala piuttosto l’esistenza più di un diverso ordine di priorità circa il legame sociale più importante.
Nel primo modo, quello più diffuso presso i ceti popolari, al centro c’è la comunità.
In questa cornice, i funerali sono, almeno programmaticamente, eventi rivolti a quote consistenti della rete di relazione più vasta del defunto.
Non solo familiari stretti, ma anche parenti, amici, colleghi di lavoro o compagni di studio anche piuttosto lontani nel tempo, semplici conoscenti, vicini di casa.
Anche i social network sono luoghi in cui è possibile mantenere un contatto diretto, almeno idealmente, con chi non c’è più.
La comunità simbolica a cui queste pratiche sembrano fare riferimento trascende la sfera individuale o familiare e tende ad abbracciare una rete più ampia costituita da un «noi» che è la comunità di coloro che, ad esempio partecipando di persona a un funerale, confermano che quella comunità, appunto, esiste. Il funerale è il momento comunitario principale della cultura funebre.
Per i ceti più elevati invece ad essere messi al centro sono i legami tra le generazioni.
Questi possono assumere una forma materiale, ad esempio nella visita al cimitero e nella cura della tomba di famiglia. In questo caso il sepolcro diventa il luogo simbolico che sancisce questo legame intergenerazionale e familiare.
I legami possono però assumere anche una forma immateriale, come avviene nel caso della dispersione delle ceneri. In ogni caso, in questo scenario, al centro viene messa la famiglia in luogo della comunità più ampia.
Se il funerale, quindi, è il momento dell’espressione dei valori delle classi lavoratrici, la sepoltura lo è di quelli delle classi superiori.
I temi di questo articolo sono al centro del volume a cura di Asher Colomo Morire all’italiana. Pratiche, riti, credenze, appena pubblicato dal Mulino
© Riproduzione riservata