Da qualche mese, anche grazie ad alcuni servizi trasmessi nel corso della trasmissione Mediaset “Le Iene“, si sta parlando in maniera massiccia dell’Ittiosi Arlecchino (Harlequin Ichthyosis o HI), una patologia che colpisce i feti nel pre-parto e che poi porta spesso al decesso prematuro del nascituro. Chi sopravvive alla prima fa ha dei rischi seri di affrontare un’esistenza travagliata dal punto di vista della salute. Le stime parlano di 1 caso su 1 milione di nascite.
L’ittiosi Arlecchino (HI) – si legge sul portale Horpha.net – è la variante più grave dell’Ittiosi congenita autosomica recessiva (ARCI). È caratterizzata, alla nascita, da squame grandi, spesse e simili a placche su tutto il corpo (con grave ectropion, eclabium e orecchie appiattite), che evolvono in seguito in una grave eritrodermia desquamativa.
Descrizione clinica.
I neonati affetti sono avvolti da una membrana di collodio (membrana translucida, brillante e tesa che assomiglia a uno strato cutaneo aggiuntivo), associata a placche a corazza, distribuite su tutto il corpo, che limitano gravemente il movimento. I segni facciali sono alterati da grave ectropion, edema congiuntivale, eclabium e naso ampio. I neonati spesso presentano contratture, sinechie dei padiglioni auricolari e/o delle dita dei piedi con potenziale rischio di autoamputazione. La mortalità è elevata nel periodo neonatale, in quanto i bambini sono suscettibili di una grave disregolazione della temperatura, problemi alimentari, infezioni e disturbi respiratori. Quando sopravvivono, la membrana di collodio si stacca dopo poche settimane e si trasforma in una eritrodermia con desquamazione grave ed ectropion persistente. Altri segni clinici spesso correlati sono il cheratoderma palmoplantare, il ritardo della crescita, la bassa statura, le malformazioni delle orecchie e delle dita, le anomalie ungueali e l’alopecia.
Ecco i dati eziologici.
L’HI è dovuta alle mutazioni recessive del gene ABCA12, che codifica per un trasportatore ABC (cassetta che lega l’ATP) coinvolto nel trasporto dei lipidi, dai granuli lamellari alla superficie apicale dei cheratinociti dello strato granuloso. La correlazione genotipo-fenotipo è ancora poco chiara, anche se si ritiene che la maggior parte delle mutazioni patogenetiche comporti una grave perdita della funzione della proteina ABCA12, che interessa importanti domini nucleotidici o domini transmembrana, con il conseguente difetto di funzione della barriera lipidica.
La diagnosi è importante.
La diagnosi si basa sull’esame clinico. La biopsia non è utile, anche se rivela un’ortoipercheratosi compatta massiva. L’esame ultrastrutturale della cute mostra corpi lamellari anomali e una secrezione ridotta dei granuli lamellari nello strato corneo. L’analisi molecolare, quando disponibile, rivela le mutazioni di ABCA12.
Diagnosi opportuna per non confonderla con altre patologie.
L’HI può essere confusa con le forme meno gravi di collodium baby. In seguito, la diagnosi differenziale si pone con l’eritrodermia ittiosiforme congenita (CIE), la dermopatia restrittiva letale, l’ialinosi sistemica infantile e la sindrome di Neu-Laxova.
Indagini nella fase prenatale.
È indicata la diagnosi prenatale, che consiste nell’analisi del DNA sugli amniociti o sui villi coriali, piuttosto che nelle biopsie della cute fetale. L’ultrasonografia mostra desquamazione diffusa, contratture delle dita, padiglioni auricolari rudimentali e appiattiti, ipoplasia del naso, rime palpebrali estroflesse, bocca tipica da pesce, bocca aperta nella vita fetale e macroglossia.
L’esame del DNA può aiutare.
La malattia è trasmessa come carattere autosomico recessivo. Alle famiglie affette deve essere offerta la consulenza genetica per informarle del rischio di ricorrenza del 25%.
Presa in carico e trattamento multidisciplinare del neonato colpito da HI.
Nel periodo neonatale, la presa in carico richiede un approccio multidisciplinare (oftalmologi, chirurghi, dietologi e psicologi a supporto della famiglia, ma anche Infermieri, Infermieri Pediatrici, Ostetriche, ecc. – ndr). Potrebbe rendersi necessaria la gastrostomia. Sono raccomandati gli emollienti e i retinoidi orali (1mg/kg/d). È importante limitare le procedure invasive per evitare le infezioni cutanee. La presa in carico dei bambini che sopravvivono è simile a quello della CIE grave e consiste nell’uso di emollienti, di cheratolitici e di retinoidi.