Nel febbraio 2022 il Consorzio del Prosecco Doc ha chiesto alle regioni Veneto e Friuli Venezia Giulia di prevedere fino a 10.800 ettari in più di glera (l’uva che in base ai disciplinari dev’essere presente per almeno l’85 per cento nella “base” che diventa Prosecco Doc) e più di un sopracciglio si è alzato, di fronte a una istanza volta a consentire una crescita ulteriore della capacità produttiva, per circa 200 milioni di bottiglie. Naturalmente, i caveat non sono mancati: la richiesta è di una assegnazione che vada a dare un ettaro in più ad azienda e a condizione che il mercato continui a crescere, come sta facendo dopo la fase peggiore della pandemia.
Il sistema prosecco (formato da Prosecco Doc, Conegliano Valdobbiadene Prosecco Docg e Asolo Prosecco Docg) ha già superato i 750 milioni di bottiglie annue e con questa espansione si avvia verso quel miliardo che, quando fu preconizzato come obiettivo da Gianluca Bisol, alla guida della storica cantina di famiglia, attrasse su di lui le risatine degli scettici e le maledizioni dei tanti detrattori del vino con le bollicine più famoso d’Italia.
Gli errori
I detrattori del Prosecco Doc (poiché esistono significative nicchie di connoisseurs che apprezzano le produzioni Docg e segnatamente quelle di provenienza collinare, legate alle Rive e in particolare a Cartizze) affermano che il Prosecco Doc ha diverse colpe storiche gravi: 1. avere causato una drastica perdita di biodiversità agricola in Veneto e Friuli Venezia Giulia; 2. una gravissima situazione di esposizione agli agenti chimici, utilizzati per proteggere le colture viticole e capaci di dare luogo a severi effetti epidemiologici sulla popolazione; 3. aver dato il via (e partecipare) a un fenomeno di volgarizzazione della qualità viticola italiana, promuovendo un prodotto di massa, senza particolare pregio, destinato a un consumo effimero e poco attento da parte di consumatori che puntano solo a spendere poco.
La realtà dei fatti e l’esame dei dati disponibili offrono alcune considerazioni che non sembrano corroborare giudizi così severi. Partiamo dalla perdita di biodiversità agricola.
Non ci sono dubbi che la viticoltura veneta e friulana abbia visto, nell’ultimo decennio, una significativa riduzione di superficie a vigneto, destinata a produrre vini meno richiesti, in favore di un aumento di vigneti di glera. Questo dipende dal fattore “domanda di mercato”, ma anche dal fatto che, attualmente e ancora per anni, il principale modo per un agricoltore di piantare un vigneto è espiantarne un altro.
La vite, infatti, è sottoposta tutt’ora a un sistema di quote, simile a quello che fino al 2015 ha regolato la produzione di latte. Dunque, meno Merlot e più Glera ma, in definitiva, sostituzione di vigneto specializzato con vigneto specializzato.
Vigneti in pianura
Secondo Ismea, nel 2019 c’erano in Veneto 22mila ettari di vigne per Prosecco Doc alle quali si sommano 8.300 ettari di vigneti per la produzione di Conegliano Valdobbiadene Docg. Questi ultimi includono i vigneti riconosciuti patrimonio dell’umanità dall’Unesco e sono una vera colossale monocoltura lungo l’asse che da Valdobbiadene va a Conegliano, ovvero lungo una direttrice di 25 km.
Eppure, non è a questi eroici vigneti aggrappati alle ripide colline prealpine che si guarda in modo critico (nonostante l’università di Padova abbia messo in evidenza, già nel 2019, i problemi idrogeologici connessi alla coltura) ma ai vigneti di pianura tra Veneto e Friuli.
Complessivamente, parliamo di 28mila ettari (nel 2019) destinati a crescere, come abbiamo visto, di circa diecimila nei prossimi anni. A pieno regime si parlerà quindi di 40mila ettari di vigneti da Prosecco Doc nelle due regioni.
Per farsi un’idea delle proporzioni, attualmente in Veneto ci sono poco meno di centomila ettari di vigna (di cui il Prosecco è meno del 30 per cento) e la quota maggiore della Sau (superficie agricola utilizzabile) è saldamente in mano alla produzione cerealicola: mais e frumento insieme valgono quasi 250mila ettari agricoli regionali.
Dunque cosa determina la sensazione della crescita “a dismisura” del vigneto di Prosecco Doc? Essenzialmente il fatto che sia stata una crescita rapida ed esponenziale, rispetto al dato di partenza, ovvero il 2009, quando la Doc è nata.
Sempre meno suolo
In secondo luogo, pesa un fenomeno tipicamente veneto e in special modo trevigiano: il colossale consumo di suolo agricolo a scopo edilizio.
Il Veneto è la seconda regione italiana per consumo di suolo dietro la Lombardia (11,9 per cento di terreno sottratto alla produzione di cibo contro il 12,4 per cento, secondo YouTrend), ma la provincia di Treviso ha un consumo accertato pari al 17 per cento: questo lo si coglie paesaggisticamente in modo intuitivo.
Non esiste più soluzione di continuità fra paesi-aree artigianali-paesi-centri commerciali. La campagna è punteggiata di edilizia residenziale che, in deroga alla norma nazionale, è stata autorizzata per persone che non svolgono l’attività agricola.
Questo, con la crescita del vigneto da Prosecco, e con le esigenze di cura di quest’ultimo, ci porta alla seconda accusa contro le bollicine più celebri d’Italia.
La coltivazione della vite è dannosa per la salute di chi vive letteralmente immerso in essa? La vite necessita di protezione da due parassiti fungini, principalmente. Per contrastarli, da maggio ad agosto, si effettuano trattamenti che, a seconda di quanto piove, possono essere con frequenza settimanale o più rarefatti.
Attivisti, giornalisti, medici e non, hanno sollevato molti interrogativi sugli effetti di questa presumibile (anche se non inevitabile) esposizione della popolazione ai principi attivi contro peronospora e oidio.
L’Ulss 2 di Treviso ha analizzato le segnalazioni e svolto un capillare lavoro di controllo dei dati epidemiologici da cui emerge che no, nella zona più vitata della provincia di Treviso non c’è una maggiore incidenza di tumori, né infantili né negli adulti, né ci sono tassi di incidenza di malattie metaboliche o della vecchiaia difformi rispetto alle medie provinciali ottenute nei territori meno vitati.
L’allarme sociale
Allora da cosa nasce il timore dei trattamenti delle viti? Dall’“allarme sociale”: dal fatto che una parte consistente di popolazione vive, per una precisa scelta della politica locale, in una campagna che non conosce e in cui non lavora; si trova circondata da trattori che spruzzano magari acqua e zolfo, ma, per ignoranza, chemofobia e comprensibili paure, percepisce un accerchiamento che, complici anche gli aspetti olfattivi di determinati trattamenti, esacerba i rapporti, anche in assenza di prove di un vero rischio per la salute.
Alla fine, dunque, le accuse dei primi punti risultano poco giustificate dai dati e rimane all’orizzonte solo la convinzione che il Prosecco sia un vino industriale, di bassa o nulla qualità, bevuto da chi non capisce nulla o quasi, solo in virtù del suo prezzo stracciato: qualcosa che non merita una dignità né per storia né per consumo.
Peccato che questa visione cozzi con una tradizione plurisecolare, perché i colli che da Asolo vanno a Conegliano incrociando il Piave sono stati coltivati a glera per un disegno agronomico della Serenissima; non tenga conto di produttori eccellenti che, specie sui colli, hanno costruito una solidissima reputazione, in patria e fuori, di scala artigianale e non, letteralmente costruendo la spumantistica italiana nata e cresciuta senza imitare i francesi; trascuri il beneficio per il territorio rurale di un introito come quello che ad aziende microscopiche garantisce il Prosecco.
Il Prosecco è il vino italiano più consumato al mondo e il suo successo commerciale si spiega con la sua semplicità di beva, accessibile a qualsiasi palato ancorché non formato, a un prezzo che è popolare, ma remunerativo.
Luci e ombre
In una annata normalmente abbondante, la produzione per ettaro di glera da Prosecco Doc arriva facilmente a ventimila kg e spunta prezzi intorno a 1-1,20 euro. Questo significa per il produttore un ricavo da venti a 24mila euro e se andiamo a vedere la grandezza media dell’appezzamento (le aziende di prosecco hanno una media intorno ai 2,5 ettari ciascuna di vigneto) comprendiamo bene come la fortuna del Prosecco sia per questo territorio delizia – perché risulta capillarmente distribuito il beneficio economico di una coltivazione che non conosce paragoni per redditività, tra le coltivazioni perenni più diffuse – ma al tempo stesso croce, visto che il valore dell’uva induce una moltitudine di coltivatori a piantare fin contro le siepi delle villette e a trattare con assiduità, anche oltre il necessario, pur di portare in cantina fino all’ultimo acino.
Senza bisogno di cedere allo snobismo enologico, inventare accuse fantasiose o pericoli senza fondamento, dunque, la mancanza di senso della misura e di un’efficace azione di pianificazione territoriale si possono individuare come le cause prime delle tensioni che agitano questo ricco pezzo di Veneto.
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