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Le promesse di Scholz si sono infrante sul muro della realtà

L’8 dicembre 2021, dopo oltre 70 giorni di trattative, il governo di Olaf Scholz giurava di fronte al Bundestag, dando vita al primo esecutivo che alla guida non aveva Angela Merkel dopo 16 anni.

Un anno dopo, sembra di parlare di un’era geologica fa: Mehr Fortschritt wagen era il titolo del contratto di coalizione, “Osare più progresso”. Le prospettive erano quelle di uno sviluppo straordinario delle energie rinnovabili e di un’integrazione europea in crescita costante.

Quel che resta, guardandosi alle spalle, sono passi avanti in termini di diritti e in parte anche nella giustizia sociale, ma anche una posizione geopolitica che appare a tratti egoistica e che in futuro rischia di diventare un grosso problema per Scholz.

Niente da fare per le priorità fissate nel contratto, almeno non dopo i primi due mesi di governo: di fronte all’invasione russa dell’Ucraina a fine febbraio, Scholz ha dovuto clamorosamente rivedere i suoi piani. A poco è servito il suo tentativo di far ragionare Vladimir Putin in un viaggio a Mosca organizzato in extremis: l’immagine del cancelliere seduto all’altro capo di un tavolo lunghissimo resterà la prova di un rapporto del tutto diverso rispetto a quello che il presidente russo coltivava con la sua predecessora.

A seguire è avvenuto quello che dai commentatori è stato considerato un mossa azzeccata: l’annuncio della Zeitenwende in parlamento, il cambiamento dei tempi che avrebbe rafforzato la collocazione geopolitica della Germania, troppo piccola per contare sul piano mondiale e troppo ricca per essere solo uno degli stati europei. Un’assunzione di responsabilità a lungo desiderata da Washington, che ha guardato con favore alla decisione del governo di stanziare 100 miliardi di euro per ammodernare la Bundeswehr, da tempo a corto di fondi, necessari secondo il cancelliere per completare il progetto. Un investimento inserito insieme al ministro delle Finanze, Christian Lindner, in un bilancio parallelo: un escamotage per permettere comunque al paese di tornare al rispetto delle rigide regole del bilancio nell’anno a venire.

Ma l’investimento è stato anche un dito nell’occhio ai partner francesi: la scintilla tra Emmanuel Macron e Scholz non scatterà mai, né nei primi mesi, né più avanti. La ragione sta nelle differenze caratteriali, ma anche nella politica che Scholz ha seguito in ambito europeo e nei rapporti con i partner nel resto del mondo. Nel discorso che ha tenuto a ottobre a Praga sull’Europa, del rapporto privilegiato coltivato da generazioni di cancellieri e presidenti della Repubblica non c’era traccia.

L’indisponibilità di Berlino si è fatta tangibile in dossier europei come la discussione sull’opportunità di acquisire nuovo debito comune per affrontare la crisi energetica o nel dibattito sull’introduzione del price cap. Screzio definitivo, il Doppelwumms, il tetto ai prezzi nazionale da 200 miliardi che Scholz ha annunciato in autunno. Il primo Alleingang, la prima fuga solitaria del cancelliere che nel conflitto ucraino aveva cercato con tutti i mezzi di evitare che la Germania sembrasse sganciata dai partner europei.

Mai come negli ultimi mesi gli interessi dei due paesi, distanti anche nelle strategie energetiche, si sono ritrovati così lontani l’uno dall’altro. La prova si trova nel rinvio di qualche mese del tradizionale incontro annuale degli esecutivi. Ragioni di agenda, è la motivazione ufficiale.

Il ruolo dei Verdi

Poche settimane dopo, Scholz ha fatto un ulteriore passo di lato nel rapporto con Macron, volando in Cina da solo per riprendere i contatti con Xi Jinping interrotti dalla pandemia. Secondo la cancelleria, il viaggio sarebbe servito a tenere aperto un canale con Pechino: effettivamente, il cancelliere è riuscito a ottenere una timida contrapposizione dal governo cinese alla possibilità, ventilata in quei giorni, che la Russia utilizzasse la bomba atomica.

Ma il decoupling delle aziende tedesche dall’economia cinese, priorità altissima nell’agenda dei Verdi che hanno in mano il ministero dell’Economia, resta per ora un miraggio. Più facile l’implementazione dell’agenda parallela a quella del cancelliere della ministra degli Esteri, Annalena Baerbock, che nei suoi viaggi più recenti ha lavorato soprattutto per coltivare i rapporti con gli altri paesi asiatici.

Una strategia che si sovrappone a quella di Washington per rompere il dominio di Pechino sul continente. Baerbock ha cercato sponde per rapporti politici ma anche nuovi fornitori di materie prime, dando una grossa mano al suo collega Robert Habeck, che dal ministero dell’Energia ha dovuto fare i conti con le sue convinzioni personali (e quelle del suo partito fissate nel contratto di governo) per recuperare l’energia e il gas necessari per superare l’inverno dopo lo stop al gas russo. E allora, via libera all’acquisto di rigassificatori e trattative aperte anche con interlocutori discutibili, come il Qatar.

L’interno

Oltre che nel rapporto con Macron, il carattere rischia di diventare un ostacolo per il cancelliere anche internamente. In un paio di sondaggi commissionati per l’anniversario, oltre il 60 per cento degli intervistati si è dichiarato insoddisfatto dell’operato di Scholz.

Tanti commentatori hanno provato a indagare sull’indole del cancelliere anseatico, che nella secchezza dei suoi commenti ricorda il concittadino Helmut Schmidt, cancelliere negli anni Settanta e Ottanta. Di Schmidt però gli manca, secondo i detrattori, la passione nel dibattito politico. È per questo che quando in un duello oratorio è affiorata e gli ha permesso di disarmare l’avversario politico Friedrich Merz della Cdu, il discorso è stato un caso per giorni nella stampa tedesca.

Per il resto, del suo primo anno si ricorderà soprattutto l’estremo rigore in annunci e prese di posizione. L’atteggiamento sempre un po’ professorale di Scholz (che è stato ricondotto dallo Spiegel all’ambizione di ricavare tutto quel che gli manca in termini di esperienza dalla lettura ossessiva) si ritrova anche nel bilancio che il cancelliere fa del suo primo anno, ovviamente positivo.

Ha sottolineato soprattutto il fatto che «le incombenze necessarie per tenere insieme la nostra società non sono state lasciate indietro». Effettivamente, accanto al pacchetto anti crisi, il cancelliere può rivendicare un’agenda progressista soprattutto sul fronte interno.

Un’impresa relativamente semplice con una maggioranza che non ha ideali troppo diversi in termini di diritti e giustizia sociale. Nonostante questo, l’aumento del salario minimo che Scholz ha proposto in campagna elettorale è diventato presto legge, mentre sono partiti gli esami delle proposte sulla liberalizzazione della cannabis e sulla riforma della legge sul riconoscimento delle nuove identità delle persone transessuali che risale agli anni Ottanta.

Ma due impasse si sono registrati anche internamente: lo scontro tra Verdi e liberali sull’opportunità di tenere in funzione le ultime tre centrali nucleari attive per qualche altro mese, che alla fine è stato risolto da un intervento di Scholz, e la battaglia parlamentare sulla riforma del contributo di disoccupazione. Il Bürgergeld, il reddito universale che andrà a sostituire Hartz IV, è stato in un primo momento bloccato dall’opposizione, ma, dopo una trattativa in cui secondo i detrattori Scholz ha accettato tagli troppo rilevanti al sostegno, il cancelliere può inserire anche questo provvedimento nel proprio bilancio annuale.

Un anno difficile, che restituisce una situazione controversa: da un lato, resta da decidere in che direzione sviluppare i rapporti internazionali, dall’altro, sul fronte interno i partner di coalizione rischiano di avere priorità diverse e potenzialmente in rotta di collisione per un futuro così differente da quello programmato nel loro contratto di governo.

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