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Miguel Bosé: storia di un ragazzo che aveva tutto, ma non la felicità

Il 3 novembre del 2022 tutti parlavano di lui, non che avessero mai smesso davvero di farlo, intendiamoci. Eppure era tanta, anti tantissima, la curiosità che ruotava intorno a quella miniserie dedicata a uno dei protagonisti della scena artistica europea, a Miguel Bosé.

Una storia, la sua, frammentata in 6 episodi, tanti quanto bastano per provare a entrare in punta di piedi nella vita di un grande artista. Una narrazione, questa, che non parla solo della sua grandiosa carriera come cantante, attore, conduttore e ballerino, ma che lo racconta soprattutto come un uomo, e prima e prima ancora come un ragazzo che aveva tutto, tranne la felicità.

Bosé, la serie televisiva prodotta da Paramount, parla proprio di lui. Di quel ragazzo il cui destino pareva quello di restare all’ombra di due stelle che brillavano troppo e che rischiavano di accecarlo con la loro luce. La stessa luce che Miguel Bosé ha fatto sua per trovare la strada della felicità e del successo, e che oggi vogliamo ripercorrere insieme a voi.

Miguel Bosé

“Io vivo come posso amica mia, non so chi sono né di me che sarà”, cantava Miguel Bosé in Bravi ragazzi nel 1982. Era già un successo, stava per diventare storia. Come poteva essere altrimenti? Del resto, quel biondo e affascinante ragazzo era il figlio di Miss Italia 1947 e del torero più famoso di tutta la Spagna. Il destino, questo era chiaro, era già stato scritto.

Eppure lui non era ancora sicuro di chi fosse a quei tempi. Aveva tutto, certo. Aveva la fama, il successo e il talento, nonché un posto sicuro nello scalino più alto della società. Eppure, quello che gli mancava più di ogni altra cosa, era la felicità che avrebbe ottenuto solo con la libertà.

Per scoprire la storia di luci e ombre di Miguel Bosé dobbiamo fare un passo indietro e tornare al 1954 quando, a Madrid, gli sguardi di Lucia Bosé e Luis Miguel González Lucas si incontrarono per la prima volta. Il resto è storia, è passione divagante e fuoco ardente, ma è anche un amore destinato a non avere il lieto fine e, anzi, a portare con sé tanto dolore. Da quella storia però, il 3 aprile del 1956 nasce a Panama Luis Miguel González Dominguín, che tutti conosciamo come Miguel Bosé.

Cresce in un’ambiente culturale fervente, lo stesso frequentato da personaggi illustri e grandi artisti, che sono anche i più fidati amici di famiglia. Il suo padrino è il regista Luchino Visconti, mentre Pablo Picasso ed Ernest Hemingway sono i suoi zii acquisiti. Cresce così, quel ragazzo fortunato, che sembra avere tutto ciò che gli altri suoi coetanei desiderano e non hanno.

Eppure, quella posizione sociale privilegiata che sembrava una chiave che avrebbe aperto tutte le porte, si è trasformata in una prigione dorata. Bellissima e scintillante, certo, ma priva di libertà.

La carriera

Certo è che a guardare la carriera di Miguel Bosé, e basandoci solo su quella, sembra difficile immaginare un mondo fatto di ombre e impedimenti, fatto solo di obblighi morali nei confronti della famiglia, prima ancora che della società. Eppure era così, per il figlio dell’attrice e del torero, che era cresce con la convinzione che salvare le apparenze sia più importante di ogni cosa, anche della propria libertà.

Le sue canzoni, però, quella libertà la celebrano, come se fosse l’unico modo che quel ragazzo fortunato ha per conquistare tutto ciò che ha perso, e che forse non ha mai avuto. Miguel Bosé però ha la sua arte, e quella, lui lo sa, nessuno può portargliela via.

Inizia così a cantare e dopo aver inciso i suoi primi singoli, rispettivamente nel ’75 e nel ’76, firma un contratto con la casa discografica Columbia con la quale pubblica i successivi album. In Italia, tra la fine degli anni ’70 e gli anni ’80, il suo arrivo è travolgente. Vince tre volte il Festival Bar con le canzoni Olympic Games, Bravi ragazzi e Sotto il segno di Caino.

Ma la sua fame supera i confini e raggiunge il resto del mondo, influenzando una generazione intera non solo con la sua musica, ma anche col suo stile inconfondibile. Il talento di Miguel Bosé è evidente, così come è chiara la sua capacità di stare sotto ai riflettori. Nel 1988 viene chiamato alla conduzione del Festival di Sanremo, mentre nel 2002 dirige il talent show Operazione Trionfo. Cantante, conduttore, ballerino e attore. Miguel Bosé ama l’arte e la plasma a sua immagine e somiglianza, fino a diventare anche regista teatrale.

Da ragazzo che aveva tutto a uomo

Ho costruito una carriera stupenda senza essermi alzato una sola mattina pensando che andavo a lavorare. Ho imparato a godere delle piccole cose, a capire l’importanza dei segni. Non ho rimpianti, mi sono fabbricato la vita che volevo e sono felice di mantenere uno spazio nel cuore della gente. Gli sbagli e i dolori li ho dimenticati.

La carriera di Miguel Bosé, dicevamo, è bella, bellissima. Patinata come una copertina di una celebre rivista. Eppure, dietro alle canzoni, ai successi e alla carriera, c’era un peso sul cuore che sembrava un macigno e che portava i nomi di Lucia Bosé e Luis Miguel González Lucas.

A raccontare di quanto sia stato difficile svincolarsi dall’ombra dei genitori è stato proprio Miguel Bosé, raccontandosi a cuore aperto nelle interviste, e poi lasciandosi andare in un’autobiografia intensa ed emozionante. Ha parlato di come la sua sensibilità, e quella passione nei confronti della lettura, dell’arte e della cultura, non fosse vista di buon occhio da suo padre. Lui, che era il grande torero, il macho d’Europa con la fama da conquistatore, voleva che suo figlio seguisse le sue orme, che diventasse un donnaiolo.

Ha parlato anche di quando, sospettando della sua omosessualità, suo padre organizzò in un incontro con una donna per fargli perdere la verginità. Non una donna qualsiasi, ma la musa di Salvador Dalì: Amanda Lear. Perché nella Spagna conservatrice di quei tempi, mantenere le apparenze era più importante di ogni cosa. Poco importava, invece, che l’assenza di suo padre diventasse ogni giorno sempre più insopportabile, così come lo erano i litigi in casa e i continui tradimenti ai danni di sua madre.

“La mia famiglia era un branco di leoni che andava a caccia”–  ha confessato Miguel Bosé in un’intervista al Corriere – “E i cuccioli cercavano di essere all’altezza, di tenere il passo senza venire pestati da un bufalo”. Ma questo passato, raccontato anche nel libro autobiografico Il figlio di capitan Tuono, e nella serie televisiva Paramount, è ormai sepolto.

Ora Miguel Bosé è un uomo libero, sotto ogni punto di vista. È un artista talentuoso e di successo ed è anche il padre amorevole e orgoglioso di quattro figli. Ed è felice, perché come lui stesso ha dichiarato la rabbia è finita. Tutto ciò che è rimasto è l’amore e un destino ancora da scrivere.

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