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Ucraini ospitati in città: c’è il rischio di dover lasciare Civitavecchia
Alcune famiglie ucraine nei giorni del loro arrivo a Civitavecchia (Foto di archivio)

CIVITAVECCHIA – “Che fine faremo? Dove ci sposteranno?”. Se lo sono chiesto, preoccupati, i profughi ucraini che da quasi sei mesi sono ospitati anche a Civitavecchia. Più di una settantina, soprattutto donne con figli minori al seguito, che hanno trovato nell’Italia un riparo dalla guerra scoppiata nel loro paese; a Civitavecchia, in particolare, sono ospitati presso il Sunbay Hotel. Una sistemazione, però, che rischia di non poter durare oltre. Nei giorni scorsi, infatti, è arrivata una lettera da parte della Regione Lazio con la quale, di fatto, vengono invitati a trovare una sistemazione alternativa.

“Dopo una prima fase emergenziale – ha spiegato il coordinatore dell’Unità di crisi Valentino Arillo – si entra in quella ordinaria”. Il problema è che finora non è stato fatto molto, soprattutto dal punto di vista burocratico. Tanto che, tramite un accordo tra Prefettura e Regione, si sarebbero dovuti avviare i progetti Sprar, proprio per una maggiore inclusione di queste famiglie sui territori. Il condizionale è d’obbligo visto che, da maggio, si è arrivati a fine settembre, con i progetti che scadono a fine dicembre, a meno di un rinnovo. Tre le cooperative che sarebbero state individuate per avviare i progetti anche per le famiglie che sono a Civitavecchia da fine febbraio e che dovrebbero essere spostati in appartamenti o centri Cas, questi ultimi assenti in città. E, a quanto pare, infatti  i nuclei familiari dovrebbero trasferirsi in provincia di Viterbo o di Latina. Civitavecchia, al momento, non sarebbe contemplata. Lunedì le cooperative incontreranno le famiglie; certo è che i bambini soprattutto ormai hanno iniziato le scuole, grazie alla preziosa rete tra amministrazione ed istituti cittadini, sono stati inseriti nelle associazioni sportive, hanno finalmente iniziato a farsi degli amici, nonostante le tante difficoltà, a partire dal dover capire una lingua che non è la loro, lontani migliaia di chilometri da casa. “una rete di aiuto e sostegno – ha sottolineato Arillo – che rischia di saltare”.  Ricominciare tutto da capo? Potrebbe essere questa la strada per queste famiglie. L’amministrazione starebbe valutando la questione e non sono escluse riunioni ed incontri già nei prossimi giorni per cercare di trovare una soluzione adeguata. “Queste donne – ha concluso Arillo – mi hanno detto che i loro mariti le hanno pregate di non tornare, perché si aspettano un inasprimento del conflitto”.

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